Viviamo in un tipo di società che ci costringe sempre di più a specializzarci, dedicando tempo ed energie a un’unica attività, in cui dobbiamo eccellere. L’uomo moderno (ma anche la donna) è chiamato a essere esperto, competente in un’unica area.

Poco importa che si tratti di un elettricista, un operaio, un banchiere, un notaio o magari anche di uno psicologo.

Tutti noi ci confrontiamo ogni giorno con una serie di attività che ci logorano e ci estraniano dalla realtà. Ci disconnettono dal mondo circostante. In poche parole, viviamo in uno stato di alienazione.

Il fatto è questo: nel lavoro ci viene chiesto di focalizzare tutta la nostra attenzione su un solo aspetto dell’esistenza. Questo, però, fa in modo che perdiamo di vista il quadro generale, il senso e il significato di quello che stiamo facendo.

Se il nostro sguardo si fissa su un punto, su un dettaglio, non siamo più in grado di cogliere la visione generale d’insieme, integrale e integrata. Percepiamo solo una parte del tutto. E questo, a lungo andare, ci fa sentire a disagio.

Capiamo insieme perché…

Incastrati in un meccanismo senza fine: l’alienazione

Uno dei primi a elaborare in modo compiuto il concetto di alienazione è Karl Marx, il grande filosofo tedesco, teorico del comunismo.

Egli ne parla in relazione all’operaio, rappresentante del proletariato, evidenziando quattro tipi diversi di alienazione.

Innanzitutto, l’operaio è alienato dal prodotto del suo lavoro poiché ciò che produce non gli appartiene ma è di proprietà del capitalista.

Ma l’operaio è alienato dal suo prossimo cioè dal capitalista, che lo tratta come uno strumento, un mezzo da sfruttare al massimo per ottenere un guadagno, per incrementare i suoi profitti.

L’operaio è alienato anche rispetto alla propria attività poiché egli non produce per sé stesso, ma per un altro. Il suo lavoro non è libero e creativo come quello di un artigiano, che realizza con le proprie mani qualcosa che ha concepito nella sua mente. Il suo lavoro è una catena, che lo inchioda al suo posto per ore, secondo un tempo stabilito da altri.

In ultimo, l’operaio è alienato anche rispetto a sé stesso e alla propria essenza, poiché il suo lavoro è forzato, ripetitivo e unilaterale.

L’immagine che ci viene subito alla mente è quella del film Tempi Moderni (1963) di Charlie Chaplin, in cui questa situazione è portata alle sue estreme conseguenze.

Protagonista della pellicola è Charlot, operaio di fabbrica, costretto a turni di lavoro massacranti, nel corso dei quali compie sempre la stessa operazione, in modo meccanico e ripetitivo. All’interno della grande catena di montaggio, lui è un semplice ingranaggio.

Tutte quelle ore passate a stringere bulloni, con ritmi disumani e spersonalizzanti, portano Charlot sull’orlo della follia, al delirio più completo. Egli perde completamente la ragione, comincia a dare segni di squilibrio, tanto che verrà rinchiuso in una clinica per consentirgli di recuperare la lucidità e riprendersi da un vero e proprio esaurimento nervoso.

 

 

Vuoto, mancanza di significato e depressione

Ai giorni nostri, però, l’alienazione non ha più soltanto a che vedere con l’ambito industriale della fabbrica. È sempre più facile, in realtà, rimanere incastrati in un meccanismo alienante, che ci intrappola e ci impedisce di avere una visione d’insieme della realtà.

Qualunque sia il mestiere che facciamo per vivere, spesso manca una relazione diretta tra le azioni che compiano in modo ripetitivo e costante e il frutto della nostra fatica. Banalmente, il cibo che portiamo in tavola. Tra questi due estremi ci sono una serie di passaggi intermedi che ci sfuggono, che non possiamo vedere né comprendere appieno.

Ma anche se potessi vedere effettivamente questi passaggi, se potessi ricostruire la catena che va dalla mia attività lavorativa al soddisfacimento dei bisogni primari miei e della mia famiglia, ne potrei avere una comprensione soltanto parziale.

Sarebbe una comprensione tutta mentale, teorica, di tipo cognitivo.

Mancherebbe ancora un passaggio ulteriore: un’esperienza concreta, emotiva, che me ne farebbe interiorizzare la gestalt completa. Noi tutti, pur non essendone consapevoli, viviamo un’alienazione che ci fa sentire lontani dalle nostre radici naturali.

Anche se non ce ne rendiamo conto, però, tutto questo ha un effetto su di noi. L’alienazione che viviamo si manifesta nella forma di un profondo disagio che alla lunga può produrre effetti devastanti sulla nostra quotidianità e il nostro benessere.

Ci sentiamo vuoti, perdiamo completamente la motivazione nel lavoro che ci appare vano, privo di significato. Ci manca la gioia, l’entusiasmo, la soddisfazione che si prova quando si fa qualcosa con uno scopo preciso. Non abbiamo più energie e voglia di fare.

Di questo passo, si arriva al baratro della depressione.

Purtroppo, si parla troppo poco di questo disagio che serpeggia sottotraccia e provoca tanta sofferenza.

Allora, possiamo chiederci: cosa possiamo fare contro l’alienazione? Come possiamo sfuggire all’ingranaggio che ci stritola e ci priva della spinta vitale?

Come sottrarsi all’alienazione: attività e hobby

Non esiste un rimedio assoluto e valido per tutti contro l’alienazione. Ma ci sono alcune attività dal valore terapeutico e con un grande potere anti-alienante. Attività che possono essere svolte da tutti, come hobby a cui dedicare del tempo libero per riconciliarsi con noi stessi e con il mondo circostante. Attività, soprattutto, che ci consentono di fare un’esperienza completa, nel vero e più profondo senso della parola.

Tra di esse vorrei segnalare il riconoscimento e la raccolta di erbe spontanee e commestibili.

Questo hobby consente a chi lo svolge di essere coinvolto in prima persona in un processo estremamente vitale, impegnandosi in esso dall’inizio alla fine, compiendo una sorta di ciclo, in tutte le sue fasi.

Prima della pratica, c’è la teoria. Per poter raccogliere erbe che crescono spontaneamente, occorre prima avere una solida preparazione. Bisogna studiare, approfondire e informarsi. Occorre prestare molta attenzione e imparare tutte le caratteristiche delle diverse piante.

Non c’è nulla di banale o scontato in questo.

Si tratta di un’attività molto seria, potremmo quasi dire che ha un valore sacrale. Saper distinguere correttamente una specie da un’altra, infatti, può fare la differenza tra la vita e la morte.

La carota selvatica, molto diffusa nelle nostre campagne e ricchissima di proprietà benefiche, assomiglia molto al fiore della cicuta, una pianta tossica che provoca vomito, forti dolori addominali, cefalee, parestesia, diminuzione della forza muscolare e infine la paralisi delle terminazioni nervose, con conseguente soffocamento.

Prima di raccogliere, dunque, bisogna conoscere per evitare di incorrere in errori potenzialmente dannosi o mortali.

Dopo essersi adeguatamente preparati, si può passare alla fase di esplorazione del territorio, nel corso della quale si osserva il terreno e si va alla ricerca delle piante da raccogliere. Subito dopo c’è la fase del vero e proprio riconoscimento della pianta a cui segue la raccolta e la prima pulitura nel campo.

Una volta tornati al campo base, si può procedere a cuocere l’erba per poi consumarla.

Vediamo, dunque, come la persona, partendo dalla materia grezza, da un elemento naturale, possa compiere con le proprie forze e capacità mentali un processo che ha un principio e una fine.

Quest’attività risulta estremamente benefica per tantissimi motivi.

A contatto con la natura: ritrovare le nostre radici

Diverse tipologie di meditazione, in particolare quelle legate alla mindfullness, si basano sul contatto con la natura.

Si tratta di meditazione specifiche attraverso le quali riusciamo a percepire che siamo un tutt’uno con ciò che ci circonda, connessi alla natura.

Non siamo soli.

Per comprendere questo concetto in modo più profondo, focalizziamoci sul nostro respiro, sul suo funzionamento.

Quando respiriamo – che è l’atto più naturale del mondo – immagazziniamo ossigeno, un elemento che viene prodotto esclusivamente dalle piante, grazie al processo della fotosintesi. Senza l’ossigeno non potremmo sopravvivere su questa terra. Noi, a nostra volta, emettiamo anidride carbonica, elemento che viene assorbito dalle piante e utilizzato come materia prima grezza per continuare il ciclo, di cui anche noi facciamo parte.

Non siamo separati dal mondo.

Siamo parte integrante di esso, un elemento del sistema.

natura alienazione meditazione psicoterapia roma prati

 

Nel momento in cui percepiamo questa grande verità, riuscendo a sentirci in armonia con il tutto, ci dis-identifichiamo dal nostro ego. In poche parole, smettiamo di identificarci con la nostra Mente, di farci dominare e controllare dalle nostre emozioni e dai pensieri che ci attraversano la mente come e un flusso inarrestabile.

Tutto questo ci permette di abbandonare la convinzione erronea e dolorosa di essere una monade isolata rispetto agli altri, alla natura e al mondo.

Vederci come esseri isolati, staccati, separati dal resto non fa altro che portarci un’immensa sofferenza perché perdiamo il contatto con la nostra essenza più profonda, con l’Essere. Dentro di noi si apre un vuoto, sentiamo una mancanza fortissima che cerchiamo poi di colmare mettendo in atto una serie di operazioni e attività di tipo ossessivo-compulsivo che non possono in alcun modo placare il senso di angoscia che percepiamo.

È ciò di cui ho parlato nel video sulle Trappole mentali dedicato al tentativo di risolvere problemi interiori mettendo in atto operazioni concrete.

La meditazione che ci riporta alla natura, dunque, ci consente di ritrovare noi stessi.

La natura, infatti, ci dona in modo spontaneo e gratuito, da sempre. Ma noi lo abbiamo dimenticato. La società in cui viviamo al giorno d’oggi ha molto poco di naturale. Non ci dà più la possibilità di entrare in contatto con la madre terra, che ci nutre e ci sostiene, dandoci la vita.

Perdere questo contatto per noi esseri umani è fortemente depressivo e distruttivo.

Non essere più in relazione diretta con la natura ci induce anche a ignorare la sua importanza. Finiamo con il non rispettare il nostro mondo, comportandoci in modo superficiale, danneggiandolo, depredando le sue risorse. Gli effetti di tutto questo, purtroppo, sono sotto i nostri occhi e ci stanno portando a conseguenze catastrofiche in termini di inquinamento ambientale, distruzione di habitat naturali, spreco di risorse

Tornando all’attività di cui parlavo prima cioè il riconoscimento e la raccolta di erbe spontanee, posso dire che si tratta di un’attività dal forte valore terapeutico e anti-alienante proprio perché ci consente di vivere un rapporto diretto con la natura, di riscoprirne i ritmi e di adattarci a essi.

Altro aspetto non trascurabile è che saper riconoscere e raccogliere piante commestibili e dalle proprietà benefiche ci consente di avere a disposizione e mettere in tavola erbe e verdure spesso migliori di quelle che si trovano sui banchi del mercato. Sia per quel che riguarda i valori nutrizionali sia per quel che riguarda il sapore, il gusto.

 

Simone Ordine psicoterapeuta Roma Prati riconoscimento erbe

 

Questa foto è stata scattata durante una delle mie tante uscite. Quella che tengo tra le mani è una rosetta basale di Papavero volgare, anche detto Rosolaccio. Si tratta di una pianta commestibile, da mangiare sia cruda che cotta, che vanta delle proprietà calmanti. Se ne può realizzare un infuso molto utile per combattere l’ansia o l’insonnia in modo del tutto naturale.

 

L’alienazione e gli elementi ancestrali

L’attività di riconoscimento e raccolta delle erbe spontanee ha anche lo straordinario potere di metterci in contatto con aspetti ancestrali di noi stessi.

Che intendo dire?

Riprendiamo per un momento gli studi e il pensiero di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, lo scopritore dell’inconscio.

Secondo Freud, gran parte del malessere psicologico di base deriva dalla particolare condizione dell’uomo moderno. L’uomo moderno, a livello genetico, non è affatto diverso dai suoi antenati più antichi, vissuti 10.000 o anche 20.000 anni fa su questa terra. I bisogni primari da soddisfare, gli impulsi, gli istinti sono rimasti i medesimi, sempre gli stessi. Da quel punto di vista, non c’è stata una vera e propria evoluzione.

Ma l’uomo moderno vive in una società che si è allontanato dallo stato di natura. Una società che ci basa su norme, regole e convenzioni a cui dobbiamo adeguarci e che, in un certo senso, ci snaturano.

C’è un fortissimo scollamento, una scissione tra come siamo stati “programmati”, il nostro modo di essere spontaneo e quel che ci viene richiesto dalla società. Impulsi e desideri vengono incanalati e disciplinati, repressi in favore della sicurezza e della produttività.

Ne nasce un disagio che si esprime, secondo Freud, per mezzo delle nevrosi.

In una situazione come questa, allora, è molto importante poter sperimentare attività che ci riportano alle radici, alle nostre origini, riconnettendoci alla versione più arcaica, quasi primitiva di noi stessi.

Si potrebbe quasi dire che l’attività del raccoglitore è insita nel nostro DNA. Si tratta di una delle più antiche forme di sussistenza messe in pratica dall’essere umano per sopravvivere. Un nostro antenato preistorico, vissuto migliaia di anni fa, avrebbe potuto compierla tranquillamente.

È qualcosa di ancestrale.

Naturalmente, questa non è l’unica attività in cui si rintracciano questi elementi dalla carica anti-alienante. Ma si tratta di una delle più complete e terapeutiche che si possano trovare.

A essa possiamo affiancare l’artigianato, per esempio. Chi si dedica a produrre con le proprie mani un oggetto, deve prima reperire la materia prima (per esempio il legno), concepire una forme e poi intagliare e modellare con i propri attrezzi fino a ottenere un oggetto utile per sé o per la propria casa. Anche in questo caso, egli svolge un processo completo, dall’inizio alla fine, a partire da un elemento naturale grezzo.

Anche la raccolta dei funghi a cui molti si dedicano nei fine settimana soprattutto nelle zone di montagna oppure la pesca subacquea potrebbero essere classificate tra le attività e gli hobby anti-alienanti.

O ancora, fare il pane in casa anziché andare a comprarlo dal fornaio.

Ciascuno di noi dovrebbe sperimentare, mettersi in gioco e provare attività come queste. I benefici sono assicurati. Ci si sente attraversati da una gioia speciale. È come se ci si scrollasse dalle spalle un peso, si lasciasse andare una zavorra che ci tiene inchiodati al suolo.

È un modo per liberarsi.

 

Share on FacebookTweet about this on TwitterEmail this to someoneShare on LinkedInPin on Pinterest