La psicoterapia si avvale di tante tecniche e strumenti diversi per promuovere il benessere e la crescita dell’individuo. Nulla esclude che anche la letteratura possa rappresentare un valido alleato in questo percorso.

Di fatto, la letteratura ha un enormi potenzialità curative.

È nell’ambito della psicoterapia di stampo esistenziale, soprattutto grazie ad alcuni esponenti come Irvin Yalom, che si è cominciato a riflettere sul valore delle opere, letterarie e filosofiche, che possono essere utilizzate per ampliare e approfondire la formazione del terapeuta.

I libri rappresentano un bacino di risorse, uno scrigno di tesori a cui bisognerebbe attingere a piene mani. All’interno di essi, infatti, si trova una quantità enorme di spunti di riflessione sulla natura umana, sulla psiche, sul modo in cui stiamo al mondo e ci relazioniamo con gli altri. I grandi autori riescono a cogliere e rappresentare su carta alcune questioni che grande importanza per il lavoro terapeutico.

Alcuni esempi?

Se volessimo estremizzare, potremmo dire che leggere “Il processo”, capolavoro incompiuto di Franz Kafka, pubblicato per la prima volta postumo nel 1925, consente di comprendere in modo completo e profondo le dinamiche sottese al senso di colpa, i meccanismi che stanno alla base di questo tormento interiore che ci consuma quando abbiamo commesso qualcosa che non avremmo dovuto, molto di più che studiare da cima a fondo un manuale di psicologia generale per un esame.

Leggendo, invece, il capitolo del Grande Inquisitore narrato all’interno de “I fratelli Karamazov”, l’ultimo monumentale romanzo di Fëdor Dostoevskij, il terapeuta ha modo di confrontarsi con quelle che in un altro articolo ho definito come “le tentazioni dello psicoterapeuta”:

  • il miracolo
  • il mistero
  • l’autorità

Nella pratica clinica quotidiana, infatti, c’è sempre il rischio di cadere in una di queste trappole.

Colludere con la speranza del paziente di ottenere una specie di miracolo e guarire magicamente dai suoi disturbi, fornendo quindi una soluzione facile e immediata. Oppure assumere un atteggiamento dogmatico per sfuggire alla chiamata dell’angoscia. O ancora, cedere alla tentazione omologante del potere.

Riflettere su quel lungo episodio, consente proprio di aprire gli occhi, raggiungere una maggiore consapevolezza sui “pericoli” insiti in questa professione.

In una lettera a suo fratello, Fëdor Dostoevskij ha scritto:

“Mi accusano di essere uno psicologo. Io sono un realista nel senso più alto della parola, cioè io mostro le profondità dell’animo umano”. Il grande autore russo non avrebbe potuto fare un’affermazione più forte e veritiera sull’essenza dei suoi testi che sono in grado di sondare gli abissi dell’animo umano e di fare da specchio.

La dimensione fortemente psicologica di quei testi era chiara anche ai suoi contemporanei, che lo criticavano per quest’impostazione.

Fatte queste premesse, vorrei sottolineare come sarebbe auspicabile che un terapeuta dedicasse un po’ del proprio tempo alla lettura di testi come questi, considerandoli come parte integrante della propria formazione, umana e professionale. Testi simili, infatti, gli consentiranno di raggiungere una maggiore consapevolezza e profondità nel proprio approccio, ampliando il suo orizzonte oltre il confine rappresentato dai testi specialistici di settore.

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Usare la lettura come strumento in psicoterapia

Un terapeuta che si formi e ampli il proprio bagaglio di conoscenze attraverso romanzi, opere letterarie e testi filosofici potrà aiutare il paziente a scoprire il grande potere terapeutico della lettura, il suo valore dischiudente.

Naturalmente, non è detto che questo sia un approccio valido per tutte le tipologie di pazienti.

La psicoterapia, qualunque sia il proprio orientamento, non dovrebbe mai essere proposta come uno schema precostituivo da applicare in modo rigido, sempre uguale a sé stesso, a prescindere da chi ci si trova di fronte. Tutto il contrario. Dovrebbe adattarsi, modellarsi sul singolo individuo.

Per questo motivo, l’invito alla lettura come strumento terapeutico potrebbe essere adatto a chi ha già una predisposizione precedente, una propensione a calarsi all’interno dei testi per immedesimarsi nei personaggi e vivere le storie narrate dagli autori.

Se, al contrario, chi abbiamo davanti non apprezza la compagnia di un buon libro e si limita a sfogliare distrattamente un giornale o una rivista, senza troppa convinzione, meglio lasciar perdere. La biblioterapia o libroterapia probabilmente non fa per lui o lei.

Per poterne trarre davvero beneficio, occorre un minimo di inclinazione alla lettura. Altrimenti è un esercizio sterile, che non porta alcun risultato apprezzabile.

La lettura per bloccare i pensieri ossessivi

La lettura può essere sfruttata per interrompere il circolo vizioso dei pensieri disforici o disadattivi che ci riempiono la testa quando stiamo vivendo un momento di forte difficoltà.

Pensiamo, per esempio, a chi soffre di depressione. Uno dei sintomi di questo disturbo dell’umore è la ruminazione o rimuginio, una forma pensiero circolare, persistente e ripetitivo, assillante al limite dell’ossessione.

In sostanza, nella nostra mente torna a ripresentarsi più e più volte un pensiero, una preoccupazione, un dubbio. È qualcosa di logorante perché il rimuginio porta a evocare vissuti e ricordi molto negativi a livello emotivo, alimentando una condizione di umore depresso da cui è difficile rialzarsi.

Spesso questi pensieri affiorano in modo del tutto automatico, nei momenti più disparati e non ci lasciano in pace.

Di fronte a una situazione di questo genere, la lettura può aiutare molto. Leggere, infatti, pone un argine a quei pensieri, blocca il flusso e lo sostituisce con un altro pensiero, quello dell’autore del romanzo o dell’opera che stiamo leggendo.

Il circolo vizioso viene spezzato. La ripetizione si interrompe, entra in gioco la novità.

Come ho già sottolineato, quest’approccio non può essere valido per tutti. Chi si trova in una situazione di grave sofferenza emotiva, difficilmente ha le forze per aprire un libro e focalizzare la propria attenzione sulla pagina scritta.

Chi riesce in questa piccola impresa, è già sulla buona strada. Ha una prognosi decisamente migliore poiché significa che riesce a esercitare un minimo di controllo sulla propria mente, ha la capacità di mantenersi lucido, pur essendo afflitto da un disturbo.

Leggere contro l’isolamento

Altro grande beneficio della lettura è quello di riuscire a rompere l’isolamento di coloro che soffrono di un disagio o un disturbo emotivo. Chi ha problemi come depressione, ansia o difficoltà relazionali, spesso tende ad allontanarsi dagli altri, a chiudersi in sé stesso ed evitare il contatto con il mondo esterno.

Leggere consente di rompere questo “cerchio magico”, aprendo un nuovo canale di comunicazione, che porta verso il dialogo.

Quando leggiamo, infatti, non siamo soli.

Stiamo facendo esperienza di un processo relazionale tra noi e l’altro, l’autore che ci parla attraverso le pagine e che per mezzo della storia, dei personaggi e delle diverse situazioni in cui sono calati, di fatto, ci illustra una particolare visione del mondo, un diverso punto di vista sulla realtà che ci circonda.

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Come in un romanzo: l’identificazione col personaggio e le nostre parti rimosse

Il libro diventa un mezzo per entrare in contatto con parti di noi stessi rimosse o esiliate, con emozioni, pensieri, atteggiamenti che non riusciamo ad accettare, di cui proviamo vergogna o disgusto e che, di conseguenza, tentiamo in ogni modo di nascondere.

È un po’ quello che avviene anche nella terapia di gruppo dove gli altri diventano specchi, rimandandoci un’immagine di noi stessi.

Chi ha dovuto reprimere la propria rabbia e non si è mai concesso di vivere appieno quest’emozione perché fin da bambino gli hanno insegnato che era qualcosa di negativo, disdicevole e inaccettabile, in un libro può trovare un personaggio che prova proprio quell’ira così dirompente.

Può identificarsi in lui arrivare così ad accettare la rabbia, a riconoscerla in sé, arrivando a una completa elaborazione e integrazione.

Colui che non ha mai potuto vivere liberamente la propria sessualità, che ha dovuto rimuovere alcuni aspetti libidici dalla sua esperienza, può finalmente entrare in contatto con una dimensione fatta di eros e carnalità.

Nel mondo della letteratura, tabù e proibizioni possono essere sdoganati. Le norme possono essere ribaltate. I blocchi possono essere superati.

Ci si può finalmente avvicinare all’emozione in un contesto protetto, in una dimensione in cui ci si sente liberi e al sicuro. che è quella delle pagine del libro.

Tutto questo ha un enorme valore sia sotto l’aspetto delle emozioni che per quel che riguarda la propria identità. Pensiamo al caso di una persona omosessuale, magari adulta, che ha sempre dovuto nascondere chi è veramente, che non ha mai avuto il coraggio di ammettere con sé stesso il proprio vero essere.

Lui o lei, trovando in un romanzo un personaggio omosessuale, potrebbe sentire risuonare qualcosa dentro di sé, potrebbe appassionarsi alla sua vicenda proprio perché rivede sé stesso o sé stessa. Si attua una sorta di riconoscimento. Un’esperienza che, se riportata all’interno della psicoterapia, può aiutare il o la paziente a prendere coscienza e consapevolezza su di sé, aiutandolo a trovare la strada per vivere in modo pieno e autentico, senza negarsi la possibilità di essere sé stesso.

Tutti i processi innescati dalla lettura possono essere velocizzati e resi più potenti attraverso il confronto con il terapeuta. Le scene che hanno colpito di più l’immaginazione del paziente possono essere riportate in terapia e trasformarsi in immagini guida, piste che conducono verso temi da approfondire, temi di discussione.

Fattori terapeutici della lettura: universalità e competenza fenomenologica

La lettura condivide con la psicoterapia di gruppo un altro potente fattore terapeutico: l’universalità.

Nei libri, nelle tante storie che può offrirci la letteratura, possiamo rivedere noi stessi, ritrovare emozioni, vissuti, problemi della nostra quotidianità. Questo ci fa sentire meno soli poiché ci rendiamo conto che non siamo gli unici a vivere determinate difficoltà, a provare determinati sentimenti.

C’è qualcun altro come noi.

Prendiamo come esempio “La coscienza di Zeno”, grande romanzo di Italo Svevo. Il protagonista Zeno Cosini, inetto a vivere, confessa con grande lucidità e autoironia le proprie difficoltà con il genere femminile, l’impossibilità a “disintossicarsi”, lasciandosi alle spalle la dipendenza dal fumo. Quella che stringe tra le dita e si porta alle labbra, con voluttà estrema, è sempre l’ultima sigaretta.

Probabilmente, l’autore in persona ha sperimentato questo tipo di vissuto, che ritorna spesso nelle sue opere. Per poterlo descrivere in questo modo, però, oltre ad averne fatta esperienza diretta, deve anche averlo accettato, in un certo senso elaborato. Altrimenti non potrebbe parlarne in modo così diretto e aperto, senza filtri.

Ciò significa che anche noi possiamo intraprendere questo cammino e accettarci per quel che siamo. Non dobbiamo più vederci come mostri deformi perché c’è qualcun altro che ha vissuto e provato le stesse cose.

Altro fattore terapeutico da non trascurare è quello legato alle letteratura come strumento di informazione. Leggere ci permette di conoscere e fare nostri nuovi strumenti e strategie per provare a migliorarci.

Inoltre, i libri ci permettono di acquisire una grande competenza fenomenologica.

Quante volte ti è capitato di sentire qualcosa dentro di te, ma non riuscire a trovare il modo per esprimerlo come avresti voluto? Il filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein ha scritto “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. In sostanza, abbiamo bisogno di avere un vocabolario il più ampio possibile, ricco di sfumature, per poter dar voce alla nostra interiorità.

Nei libri possiamo trovare proprio le parole per dire quello che sentiamo.

A chi non è mai capitato di rimanere colpito da una frase, scritta magari un secolo fa, e pensare: “E’ esattamente così che mi sento!” Oppure “Questo sembra scritto proprio per me”?

Simboli e immagini nella letteratura

La letteratura, come abbiamo già detto, è un bacino inesauribile, uno scrigno pieno di perle. Essa ci offre anche una moltitudine di immagini e simboli che permettono di spiegare in modo intuitivo e immediato la realtà o anche concetti estremamente complessi.

Pensiamo alle parabole del Vangelo, che non hanno soltanto un significato di tipo religioso. Ma anche alle grandi storie della mitologia greca e romana, da cui molti pensatori hanno tratto immagini potenti.

Nel 1985, Italo Calvino viene chiamato a tenere un ciclo di sei conferenze all’università di Harvard. Egli sceglie come tema sei proposte per il nuovo millennio. Le conferenze non avranon mai luogo, poiché l’autore scomparirà nel settembre di quello stesso anno. Ma i contenuti di quelle lezioni verranno ripresi e pubblicati nelle famose “Lezioni americane” che ruotano attorno a sei concetti fondamentali:

  • leggerezza
  • rapidità
  • esattezza
  • visibilità
  • molteplicità
  • coerenza

Nel momento in cui Calvino si appresta a parlare di leggerezza, egli lo fa recuperando il mito di Perseo e Medusa.

Medusa, la gorgone che riesce a pietrificare chiunque la guardi negli occhi, rappresenta l’appesantimento, la rigidità, qualcosa di fronte alla quale ci sentiamo impotenti, incapaci, bloccati.

Perseo, l’eroe della vicenda, deve mettere in atto uno stratagemma per potersi sottrarre al suo potere e riuscire a sconfiggerla.

Invece di guardarla dritta negli occhi e soccombere, divenendo di sasso, egli usa uno specchio, che gli consente di proteggersi e di avvicinarsi abbastanza da poterle troncare di netto la testa. Dal sangue di Medusa, mostro della pesantezza, nascerà una creatura alata, leggera come l’aria, capace di volare: lo splendido cavallo Pegaso.

Perseo porterà con sé la testa della gorgone, tenendola chiusa in un sacco. E ogni volta che si troverà in difficoltà, potrà tirarla fuori e utilizzarla come arma.

Questa vicenda così antica, entrata nell’immaginario comune, può essere letta in chiave psicologica. Può insegnarci che di fronte a un’emozione difficile che ci imprigiona e ci impedisce di muoverci, paralizzandoci nel corpo e nella mente, dobbiamo trovare strategie alternative.

Prenderla di petto e a mani nude non è una soluzione. Possiamo, invece, affrontarla un po’ per volta e con gli strumenti giusti. Possiamo osservare la situazione da un altro punto di vista, assumendo una prospettiva diversa, utilizzando una nuova chiave di lettura. E capire anche che quell’emozione, quel vissuto, non deve essere cancellato perché fa parte di noi e può diventare, come la testa di Medusa, una risorsa di potere inestimabile.

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