Salve a tutti,

in questo video andremo a interpretare in senso psicoanalitico e simbolico quello che – insieme all’episodio del Grande Inquisitore dei “Fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij– può essere considerato uno dei brani più profondi, più pregnanti da un punto di vista esoterico che siano mai stati scritti nella storia della letteratura.

Parliamo della leggenda dell’uomo di campagna davanti alla porta della legge, che come un diamante è incastonato al centro di questo importantissimo romanzo di Kafka: il processo.

Andiamo a leggere il testo e man mano lo interpretiamo.

Il guardiano davanti alla porta ovvero il SuperIo giudicante

“Davanti alla legge c’è un guardiano”.

Con questa immagine immediata, capiamo subito che non è affatto facile qui poter accedere alla legge.

Ma che vuol dire accedere alla legge?

Vuol dire sentirsi in pace, potersi liberare finalmente dal senso di colpa. Ma questo non è possibile. Qui ci troviamo da subito in una situazione di difficoltà, di impotenza.

“Da questo guardiano arriva un uomo di campagna e chiede che lo si lasci entrare nella legge. Ma il guardiano dice che al momento non può concedergli di entrare”.

Quindi vediamo appunto che c’è questo guardiano che è il Super Io, questo giudice interiore che ci portiamo dentro. Quella vissuta dall’uomo di campagna è la situazione in cui in modo più o meno violento o intenso si trova ognuno di noi.

Ognuno di noi vorrebbe sentirsi in pace ma non riesce sempre. C’è questo guardiano che dice: “Al momento no”. In questo “al momento” c’è, però, l’allusione al fatto che, forse, prima o poi, io potrò sentirmi davvero in pace.

Ma vediamo come prosegue.

La scelta di attendere

L’uomo riflette e poi chiede se allora potrà entrare più tardi. “Può darsi” dice il guardiano “Ma adesso no”

Quindi vediamo che l’uomo comincia a riflettere. La mente parte “Cosa devo fare? Cosa posso fare per andare oltre?”

Ciò che decide è di rimanere fermo lì e aspettare.

C’è questa dimensione di attesa: aspetto che nel futuro in qualche modo, prima o poi, potrò entrare nella porta delle legge e trovare la pace interiore.

Il nostro dialogo interiore: l’uomo di campagna vs il guardiano

“Poiché la porta della legge è come sempre aperta e il guardiano si fa da parte, l’uomo si china per guardare la porta nell’interno. Quando il guardiano se ne accorge, ride e dice: “Se ti attira tanto, prova dunque a entrare nonostante il mio divieto. Ma bada. Io sono potente e non sono che l’ultimo dei guardiani. Di sala in sala però ci son altri guardiani, uno più potente dell’altro. Già del terzo non riesco più nemmeno io a reggere la vista”

Qui vediamo che l’uomo cerca di capire in che modo può salvarsi. Cerca di guardare la luce che emana dalla porta della Legge. E quando il guardiano se ne accorge, lo ridicolizza e ride di lui.

Vediamo come questo giudice interiore a volte è proprio sadico, è come se ci schernisse: “Sì, sì, prova, prova pure” ma la sua frase è retorica.

Dobbiamo capire che il dialogo tra l’uomo di campagna e il guardiano è quello che ci portiamo dentro: è il dialogo tra l’Io e il Super Io, tra noi e il genitore arcaico che ci portiamo dentro.

Quando dice “Bada io sono potente ma non sono che l’infimo dei guardiani…” cosa vuol dire?

Vuol dire che tante volte noi ci fissiamo su un elemento che riguarderebbe la nostra insufficienza, la nostra colpa.

Per esempio io posso dire che mi sento indietro. C’è uno scarto tra dove sono e dove vorrei essere perché – poniamo il caso – non guadagno almeno 3.000 euro al mese ma le mie entrate si fermano a “solo” 2.000 euro.

Questo è il primo guardiano.

Ma se anche riuscissi a superarlo e a guadagnare quello che secondo il mio ideale dell’Io sarebbe uno stipendio dignitoso, quindi poniamo 3.000 euro, a quel punto dietro c’è un altro guardiano.

Cioè ci sarà sempre un altro motivo per sentirmi insufficiente.

Passare tutta la vita in attesa

“L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà. La legge deve essere accessibile a chiunque in ogni momento, pensa. Ma poi osserva meglio il guardiano nella sua pelliccia, il gran naso a punta, la barbara tartara nera lunga e sottile e decide che è meglio aspettare finché gli venga dato il permesso di entrare.

Il guardiano lo incoraggia in tal senso e gli dà uno sgabello e lo fa sede al lato della porta. Lì rimane seduto giorni e anni. Fa molti tentativi perché lo si lasci entrare e stanca il guardiano con le sue preghiere”

Vediamo come qui passano gli anni.

È come se noi passassimo la vita seduti, paralizzati, di fronte a questa impossibilità di sentirci in pace.

“Il guardiano lo sottopone spesso a piccoli interrogatori. Gli chiede del suo paese e di molte altre cose. Ma sono domande indifferenti, come le fanno i grandi signori. E conclude sempre dicendo che non può ancora farlo entrare.

Qui vediamo il rapporto con il nostro giudice interiore che ci parla dall’alto al basso.

L’illusione del guardiano

“L’uomo che si è provvisto di molte cose per il viaggio – si intende il viaggio della vita – le usa tutte, anche quelle di valore, per corrompere il guardiano. Questi accetta tutto, dicendogli però:

“Accetto solo perché tu non pensi di aver tralasciato qualcosa”

Vediamo. È molto chiaro qui il senso simbolico. In questo viaggio della vita, l’essere umano ha tante risorse, tante possibilità e le spreca cercando inutilmente di essere perdonato da un genitore che però non è un genitore in carne e ossa.

È un automa interiorizzato che dirà sempre di no.

E tutte le risorse che io ho, tutto il mio potere mentale, il mio tempo, le mie energie vengono sprecate giorno dopo giorno all’interno di un’operazione impossibile.

All’interno di una trappola mentale.

“Durante tutti quegli anni l’uomo osserva quasi ininterrottamente il guardiano. Dimentica gli altri guardiani e questo primo gli sembra l’unico ostacolo per accedere alla legge”.

Noi magari ci fissiamo su un elemento. Io lo vedo anche in terapia. C’è un elemento che condensa tutto il senso della nostra inadeguatezza e non capiamo più che è un processo generale, non vediamo più gli altri guardiani.

Qualcuno per esempio si fissa sul lato economico e pensa di non avere abbastanza successo nel lavoro.

Un’altra persona si sente inadeguata perché sente di non essere abbastanza bella.

Un altro ancora sente di non essere un buon genitore.

Ognuno crea il proprio guardiano, ma sono tutte illusioni.

La lamentela e il locus of control esterno

“Maledice il suo caso sfortunato. Nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia, brobottando tra sé e sé”.

Vediamo qui questa dimensione della lamentela, questo corpo di dolore, il melodramma che creiamo. Attribuiamo al caso, alla sfortuna questo stato di cose.

Non capiamo che dipende da noi, che dobbiamo aprire gli occhi e risvegliarci.

Quante volte sentiamo delle persone che si lamentano dicendo “Eh, nella vita sono stato sfortunato”. Queste persone hanno un locus of control esterno.

Pensano che la propria vita è nelle mani di qualche agente esterno che ti condanna soffrire.

“Alla fine, rimbambisce e poiché studiando per anni il guardiano ha imparato anche a riconoscere le pulci del suo bavero di pelliccia, prega anche le pulci di aiutarlo

Vediamo come l’essere umano può anche conoscere perfettamente il funzionamento del guardiano cioè della propria razionalizzazione ma non può mai capire.

Può osservare e portare alla luce ogni dettaglio, ma non riesce comunque a capire.

Perché non può capire?

Perché non c’è niente da capire.

Non c’è un significato in questo automatismo. È un’illusione priva di verità.

Le tenebre e la luce della consapevolezza: trascendere il senso di colpa

“Infine, gli si indebolisce la vista e non so se intorno a lui si fa davvero buio o se sono gli occhi a ingannarlo”

Una vita passata dentro questa trappola ci porta dentro al buio, lontano dalla luce della consapevolezza. “

“La luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”

Questo brano è estremamente cupo e drammatico. Ma è un ammonimento. Ci sta dicendo dove non dobbiamo andare.

“Ma nel buio, distingue un bagliore che erompe senza mai estinguersi dalla porta della legge. Ormai non gli resta più molto da vivere”

Ha consumato tutta la sua vita su quello sgabello. Ha consumato tutte le sue risorse

“Prima della morte, tutte le esperienze di quegli anni si condensano nella sua testa in un’unica domanda che fino ad allora non ha mai rivolto la guardiano. Gli fa un cenno, poiché non può più raddrizzar eil suo corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano deve chinarsi su di lui poiché la differenza di statura si è molto spostata a sfavore dell’uomo”

Quindi vediamo che se da giovane l’uomo in qualche modo aveva una statura quasi simile a quella del proprio Super Io, col tempo sappiamo che la mente si sclerotizza ed è sempre più difficile liberarci dal guardiano che ci portiamo dentro.

Andando avanti negli anni, il Super Io diventa più potente perché ogni volta che pensiamo uno schema mentale, andiamo a rinforzare le facilitazioni sinaptiche di quell’ampolla neuronale cioè diamo sempre più potere a quel guardiano.

“Cosa voi sapere ancora? Sei insaziabile! – chiede il guardiano. E l’uomo dice: “Tutti aspirano alla legge, come mai in tutti questi anni, nessuno ha chiesto di esservi ammesso oltre a me?”. Il guardiano capisce che l’uomo è ormai alla fine e per raggiunger eil suo udito che sta venendo meno gli urla:

“Questa porta è stata fatta soltanto per te e adesso la vado a chiudere”.

L’ultimo respiro di quest’uomo diventa un rantolo.

Proprio nel momento della morte realizza di aver sprecato tutta la sua vita davanti a un’illusione.

Si rende conto che questo incubo esisteva solo per lui.

La mente dell’uomo di campagna ha creato questo Super Io, questo guardiano e quindi ha creduto.

Quando la mente viene meno, anche il guardiano viene meno perché il guardiano NON ESISTE se non nella mente dell’uomo di campagna. E l’uomo di campagna ha sprecato tutto quello che aveva, il suo tempo, le sue energie, i suoi talenti, senza vivere la propria vita.

Qual è la soluzione? Cosa avrebbe potuto fare l’uomo di campagna?

Innanzitutto avrebbe potuto fare psicoterapia, mi viene da dire.

Il terapeuta gli avrebbe detto basta lottare, basta cercare di entrare in quella porta.

Questo genitore che ti porti dentro ti dirà sempre no, ti dirà sempre che c’è un gap tra dove ti trovi e dove dovresti essere. Se cerchi di superare in questo modo il problema, non ne uscirai mai.

Devi solamente alzarti da quello sgabelletto e andare a fare l’amore, andare a festeggiare alla sagra della castagna, vai al cinema a vedere un film, vai a fare una passeggiata in un bosco.

Vai a vivere, vivi.

Non passare tutta la tua vita davanti a quella porta, davanti a quella trappola.

Non consumare tutte le tue energie all’interno di una ruota del criceto che corre corre e non arriva da nessuna parte. Quel guardiano ti dirà sempre di no.

Allora invece di passare la vita seduto su quello sgabello, vivi la vita, esplora il mondo.

Sii felice.

 

A presto,

Dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta Roma Prati

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Se sei interessato al tema, potresti guarda anche il mio video dedicato ai tre paradossi del senso di colpa

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