In un precedente articolo ho illustrato diversi benefici legati alla compagnia di un animale domestico, mettendo in luce come avere un cane possa migliorare la salute psicologica della famiglia e dei suoi diversi membri.
Come abbiamo visto, adottare un cane e tenerlo in casa può aiutare la famiglia a uscire da alcune dinamiche patologiche, a non cadere nella trappola del doppio legame e a rallentare i processi di transfert in atto.

Ma c’è di più.

Il cane non si presta ai giochi psicologici

Il cane è un animale giocherellone per natura.

Quando è soltanto un cucciolo, il gioco rappresenta un’attività educativa, necessaria a sviluppare diverse abilità, motorie e sociali.

Per il cane adulto, invece, il gioco è uno strumento utile per creare e rafforzare legami con gli esseri umani e i propri simili.

Dunque, il cane ama giocare.

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Ma non partecipa mai ai giochi psicologici che spesso vengono messi in atto in famiglia e che vengono abilmente descritti nel libro “A che gioco giochiamo?” (1964), opera dello psicologo canadese Eric Berne, che ha gettato le basi per la nascita dell’analisi transazionale.

Nel suo libro, Berne analizza le relazioni tra individui e le dinamiche patologiche che si instaurano tra i diversi membri della famiglia descrivendole come dei giochi.

“Un gioco è una serie di transazioni ulteriori che conducono ad un tornaconto ben definito” dice Berne, definendo quel che intende quando parla di giochi psicologici.

È proprio dall’instaurarsi di questi particolari meccanismi basati sulla manipolazione che spesso deriva il disagio, la mancanza di autenticità, la sofferenza che si sperimenta all’interno di alcuni nuclei familiari.

I giochi non sono altro che dei copioni di comportamento, schemi che si ripropongono in modo stereotipato e che rompono l’armonia della comunicazione più autentica e profonda tra i membri della famiglia.

All’interno di questi schemi, i membri della famiglia assumono dei ruoli fissi, che vengono loro assegnati oppure nei quali cadono, senza rendersi conto di quello che sta avvenendo. Sia colui o colei che manipola che coloro che vengono manipolati sono del tutto ignari della dinamica in atto.

Tutto avviene in modo inconscio, inconsapevole.

I giochi psicologici: “Spalle al muro”

Vediamo insieme alcuni di questi giochi, a cui Berne assegna un nome evocativo.

Prendiamo, per esempio, uno dei giochi coniugali cioè quegli schemi di comportamento che possono diventare una dinamica abituale all’interno della coppia (sposata o meno).

Uno di essi è “Spalle al muro” e lo schema è il seguente:

i due partner decidono di fare qualcosa di piacevole insieme, che rompa la solita routine. Potrebbe trattarsi magari di trascorrere un week end fuori città per una fuga romantica oppure di andare al cinema a vedere un film che piace a entrambi o ancora andare a cena in un ristorantino carino.

Ci si accorda, si fanno mille preparativi e poi, quando è tutto pronto, uno dei membri della coppia tira fuori del tutto casualmente un argomento scomodo, qualcosa che non va giù all’altro e che lo fa irritare terribilmente.

Di conseguenza, la conversazione degenera, talvolta trasformandosi in una feroce litigata.

Con quest’umore nero, il partner non ha più alcuna intenzione di fare qualcosa insieme: tutto annullato. Qual è il tornaconto che ne deriva? Solitamente, l’evitamento di una situazione di intimità, quando si parla di coppia.

Giochi psicologici: “Perché non…sì, ma”

Un altro gioco molto frequente all’interno delle famiglie è “Perché non…sì, ma”.

Il suo schema è questo: un soggetto (potrebbe trattarsi di un genitore ma anche di un partner) portatore di un problema o di un disagio, si rivolge a coloro che lo circondano per trovare una soluzione, qualcosa che possa dargli sollievo e alleviare la sua pena.

I vari membri del gruppo familiare si mettono a disposizione, provando a dare il proprio aiuto in modo concreto, dando suggerimenti diversi e facendo proposte: “Perché non provi a fare così?” “Perché non cerchi di comportarti in questo modo?”

Il soggetto sofferente ascolta.

Tuttavia, a ogni “Perché non…” risponde con un “sì, ma” per demolire le proposte che riceve.

Si fa avanti così, in una sorta di loop infinito, senza che venga mai accettata alcuna possibilità.

Chi gioca a “Perché non…sì, ma” cerca in modo inconscio di stare al centro dell’attenzione della famiglia. Tutti quanti (madre, padre, fratelli e sorelle o magari il partner e i figli) smettono di preoccuparsi delle proprie questioni e si lasciano assorbire dal problema che ha evidenziato, cadendo sotto il suo controllo, in un certo senso.

È un gioco manipolatorio che si risolve in una spirale infinita perché chi gioca a “Perché non…sì, ma” non vuole assolutamente rinunciare alla posizione di privilegio che è riuscita ad acquisire, alle attenzioni che si è conquistata.

Qualsiasi soluzione le verrà proposta, sarà rifiutata in toto e lo schema si perpetuerà all’infinito, sempre nello stesso modo.

Gli altri “giocatori” ne escono sempre sconfitti, sviliti e ad ogni “Sì, ma” provano una sensazione di inadeguatezza e impotenza perché non potranno mai capire o risolvere. Il protagonista del gioco, invece, prende la posa dell’eroe drammatico, poiché riceve la conferma che sta affrontando un problema insormontabile, troppo difficile per chiunque.

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Il cane domestico, però, non può cadere nella trappola.

Lui dà attenzioni disinteressate, senza che ci sia bisogno di indurlo a partecipare a questi giochi di ruolo patologici, basati su schemi di comportamento disfunzionali, tipici degli esseri umani.

Attraverso di esso, la famiglia può trovare uno spazio di libertà.

Il cane portatore di presente

Nella stanza di psicoterapia porto anche la spiritualità, intesa in senso non religioso ma come metodo di introspezione, rifacendomi al pensiero e alla riflessione di grandi maestri spirituali come Eckhart Tolle e Paramahansa Yogananda.

Riflettendo sulle loro parole, mi sono reso conto quanto il cane, con la sua capacità di vivere pienamente nel qui e ora, sia un vero e proprio maestro zen. Eckhart Tolle nel suo straordinario libro “Il potere di Adesso” definisce il cane come un portatore di presente, un essere che non si fa influenzare dal passato che spesso grava su di noi come un’ombra nefasta né tantomeno è frenato o angosciato dal pensiero del futuro.

A differenza dell’essere umano, il cane non è dominato dalla mente ma è puro istinto e naturalità, agisce in modo spontaneo. E attraverso il suo esempio, ci aiuta a vivere in modo diverso, trascinandoci fuori dai nostri schemi consueti.

Pensiamo a una situazione tipo in famiglia.

La mattina, a colazione, poco prima di uscire per andare a lavoro, i due partner di una coppia litigano. Volano parole grosse e insulti, entrambi cercano in ogni modo di avere la meglio in quell’accesa discussione, alzando la voce e rimproverando l’altro per qualcosa che ha fatto o che ha detto. Uno dei due se ne va, sbattendo la porta.

A sera, ci si ritrova intorno alla tavola. Ormai gli animi si sono calmati, la discussione è passata. Ma si riesce a percepire ancora la tensione nell’aria. Un silenzio pesante grava sulle teste di tutti, avvelenando il clima della cena in famiglia.

Il passato getta la sua ombra scura su tutti.

Ma poi arriva il cane di casa, scodinzolando allegro. Vuole che qualcuno lo porti a fare una passeggiata oppure che giochi con lui con la sua pallina. Con il suo comportamento spontaneo, spazza via rabbia e tristezza, squarcia le nuvole oscure del passato, portando una ventata fresca di presente.

Ci riporta dentro il qui e ora, invitandoci a vivere il momento, lasciandoci alle spalle quello che è stato.

Oppure, se è il futuro con le sue preoccupazioni e incertezze a spaventarci, ci aiuta a distogliere lo sguardo dall’orizzonte incerto e mutevole, per stare nel presente vivo.

Non ci sono più lo ieri e il domani. Non ci sono il rimpianto per quello che è stato e non tornerà più. Nè la paura per quello che sarà e che non possiamo in alcun modo prevedere.

C’è soltanto l’oggi, l’adesso, questo momento in cui siamo e che dobbiamo vivere fino in fondo.

Il cane ci mette in contatto con elementi vitali

Ma il cane ha anche lo straordinario potere di far emergere la nostra parte meno razionale.

La società in cui viviamo, con i suoi ritmi frenetici e le norme a cui siamo costretti a sottostare, ci omologa e ci aliena, strappandoci da noi stessi. Ci costringe a reprimere istinti e pulsioni, a ripulirci per così dire.

Il cane, in quanto animale, ci permette di ritrovare l’animale che è in noi, di entrare in contatto diretto con elementi vitali e istintuali, con una forza interiore che avevamo dimenticato.

Il cane come maestro di vita e di morte

Un altro grande vantaggio psicologico rappresentato dall’avere un animale domestico, in special modo un cane, è quello di poter entrare in contatto con un tema fondamentale dell’esistenza: quello della morte.

La malattia, l’handicap o la morte del proprio fidato amico a quattro zampe non è soltanto un’esperienza profondamente dolorosa per chi la vive.

Nel corso di uno scambio con un esperto del settore, il dottor Andrea Tiziano Di Francesco, responsabile dell’area di chirurgia, neurochirurgia e ortopedia dell’ospedale veterinario Croce Azzurra di Roma, abbiamo messo in luce quanto questa dura prova affrontata dalla famiglia rappresenti anche un’opportunità preziosa di crescita: è un modo per imparare a elaborare il tema della morte in modo costruttivo.

È un discorso che vale per tutti, ma in particolare per i bambini, i nostri figli.

Crescere insieme a un cane domestico, amarlo, accudirlo e seguirlo fino alla fine dei suoi giorni dà al bambino la possibilità di comprendere in modo profondo il ciclo della vita, a capire che esiste un inizio ma anche una conclusione naturale di tutto.

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In questo modo, fa esperienza del lutto e degli elementi che gli permetteranno di elaborarlo in modo sano e non traumatico.

Il cane è maestro di vita, perché ci insegna a vivere appieno le nostre giornate, con il cuore leggero, apprezzando quello che abbiamo, adattandoci al cambiamento, facendo di tutto una piccola grande gioia.

Ma il cane è anche maestro di morte. Lui non cerca di sfuggirle, non si aggrappa disperatamente all’esistenza come facciamo spesso noi. Lascia che la vita faccia il suo corso, fluisce insieme a essa, godendo di quel che riceve, spargendo amore e, quando arriva l’ultimo istante, lo accetta.

Come soltanto un grande saggio saprebbe fare.

Maltrattamento e abbandono: la resistenza agli elementi terapeutici del cane domestico

Ma se avere un cane favorisce in modo così forte il nostro benessere psicologico, perché c’è chi maltratta il proprio animale domestico oppure lo abbandona, senza tornare indietro?

Questi comportamenti che potrebbero essere attribuiti allo scarso amore per queste creature, dal punto di vista analitico e psicologico possono essere interpretati come meccanismi di difesa contro il cambiamento.

Alcuni individui, infatti, avvertono che l’animale è un chiamata a prendersi cura di sé, a contattare il proprio io profondo, dischiudendo la porta per accedere al proprio mondo interiore. Ma non riescono a seguire questa chiamata.

Per loro, quegli elementi terapeutici sono intollerabili.

Alcuni sviluppano una vera e propria ossessione, finendo bloccate in quella trappola mentale che consiste nel cercare di risolvere un problema interiore attraverso un’azione concreta, rimanendo vittime di una eterna coazione a ripetere.

È un meccanismo che vediamo in atto in tanti contesti diversi e che ho trattato in modo più approfondito in questo video.

Chi vede nel cane un varco ma non riesce ad attraversarne la soglia, finisce con il cercare altri varchi.

Quindi vedremo persone che adottano 2, 3, 4 o anche 5 cani, tenendoli in appartamenti molto piccoli e inadeguati alle esigenze di questi animali domestici. Chi si comporta in questo modo, in un certo senso cerca di moltiplicare le proprie possibilità, sostituisce alla qualità della relazione con un solo animale la mera quantità, come se si trattasse soltanto di una questione di numeri.

In questo modo non fa altro che illudersi poiché non riesce comunque a cogliere gli elementi terapeutici che il cane porta con sé. Non è in grado di aprirsi per accoglierli e trarne un beneficio psicologico.

Altre persone manifestano una intensa preoccupazione per lo stato di salute del proprio animale, arrivando a spendere cifre enormi per l’alimentazione del cucciolo oppure a presentarsi più e più volte dal veterinario, senza una ragione apparente. Se questi comportamenti possono essere associati all’attaccamento e all’affetto provato per il cane o il gatto, tuttavia possono anche essere il corrispettivo sul piano concreto del timore di non riuscire a contattare gli elementi terapeutici legati all’animale.

Allo stesso modo, chi maltratta il proprio cane o lo abbandona, probabilmente è dominato dal proprio corpo di dolore e non riesce a tollerare quegli elementi terapeutici. Per questo, si comporta come il paziente che manifesta forti resistenze e arriva anche al drop out cioè all’interruzione del percorso di terapia.

 

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