La psicoterapia non è un processo lineare e predeterminato. È difficile stabilire fin dal principio modalità e tempi poiché tutto si basa sul lavoro che terapeuta e paziente fanno insieme, con impegno e costanza, e sulla relazione che si instaura tra loro, la cosiddetta alleanza terapeutica.

La terapia è un percorso che, tappa dopo tappa, ha lo scopo di raggiungere il benessere dell’individuo e una maggiore consapevolezza di sé.

Lungo la strada, però, è possibile che si inciampi, si torni indietro, si incontrino difficoltà e che avvenga quello che in gergo si chiama drop out, cioè l’interruzione della terapia.

Interruzione e conclusione: due modi diversi di mettere fine alla psicoterapia

L’interruzione della terapia (drop out) e la sua conclusione sono due eventi molto diversi.

La conclusione di una terapia si attua quando il percorso giunge al suo naturale compimento. Il terapeuta accompagna il paziente nel viaggio di scoperta di sé stesso, lo affianca e sostiene, attraverso l’introspezione e l’analisi lo aiuta a guardarsi dentro e a mettere in luce le preziose risorse interiori che ha disposizione. Finché non arriva il momento di lasciarsi e di comune accordo, paziente e terapeuta stabiliscono che le prossime sedute in cui si vedranno saranno le ultime poiché il traguardo è stato raggiunto.

Quando la terapia si interrompe, invece, è come se avvenisse uno strappo improvviso e imprevisto, una rottura del legame tra paziente e terapeuta, su cui si fonda l’intero processo. All’improvviso, per una o più ragioni, il paziente decide di non presentarsi più in studio, di non prendere appuntamento e mettere fine alla psicoterapia, senza aver risolto il disagio che lo ha spinto a chiedere un sostegno psicologico.

I motivi di una simile scelta sono vari e per questo è opportuno operare una distinzione tra quelle che possono essere cause accidentali e tra causa profonde, che hanno a che vedere con la personalità del paziente stesso.

Interruzione della psicoterapia: cause esterne e accidentali

In molti casi, non è il paziente a decidere volontariamente di interrompere il percorso terapeutico. Più semplicemente, alcune circostanze della vita potrebbero impedirgli di proseguire con le sedute. Pensiamo, ad esempio, al caso di una persona che deve compiere un lungo viaggio all’estero, per lavoro o per motivi personali che esulano dalla sua volontà.

Questo tipo di situazione rappresenta un vero e proprio ostacolo poiché va a influire in modo pesante sulla continuità e regolarità degli incontri, che fanno parte dello stesso processo terapeutico, fondato su una routine precisa, su sedute programmate e cadenzate nel tempo.

Un’altra situazione tipica è quella del trasferimento del paziente in un’altra città o addirittura in un altro Paese, cosa che gli rende naturalmente impossibile raggiungere fisicamente lo studio del suo terapeuta per lavorare all’interno del setting già predisposto.

Esiste poi la possibilità che il paziente sia colto da una malattia fortemente debilitante o invalidante, tale da non consentirgli di alzarsi dal letto, uscire di casa e raggiungere lo studio di psicoterapia come ha sempre fatto in passato.

Quando si verificano situazioni di questo tipo, è comunque possibile proseguire nel percorso, sopperendo alla distanza fisica attraverso gli strumenti della tecnologia. La psicoterapia online, effettuata con l’ausilio di piattaforme come Zoom, Skype, Whatsapp, consente a paziente e terapeuta di interagire a distanza, avere un contatto visivo, parlare e ascoltare la voce dell’altro, operando uno scambio che si avvicina in qualche modo a quello che avviene nel setting dello studio.

Non è esattamente la stessa cosa, ma questa modalità, al giorno d’oggi, sta prendendo sempre più piede, anche in relazione all’attuale situazione di emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Coronavirus. Tra le situazioni che avrebbero potuto portare alla brusca interruzione di psicoterapie già avviate da tempo potremmo enumerare anche il lockdown nazionale, che ha imposto a tutti di rimanere in casa onde evitare il diffondersi del contagio.

Bisogna evidenziare, però, come la psicoterapia a distanza, per quanto utile ed efficace, possa non essere adatta per alcuni casi. Esistono alcuni tipi di disturbi per i quali può essere consigliata e indicata come modalità di intervento. Ma in caso di gravi disturbi di personalità, disturbi dell’umore e di patologie che richiedono anche l’ausilio di una terapia farmacologica di sostegno, è preferibile usare la psicoterapia classica, con i colloqui di persona, in studio.

Al di là di queste situazioni particolari, esistono casi in cui è il paziente stesso a porre fine al rapporto,

Drop out e fallimento della psicoterapia

In alcuni casi, la terapia si interrompe ancora prima di strutturarsi, proprio durante la fase di avvio del percorso, dopo appena qualche incontro. Accade persino che il paziente telefoni per ricevere informazioni e poi, dopo questo primo contatto, si blocchi. Fissa un appuntamento, lo segna in agenda e poi, il giorno in cui dovrebbe bussare alla porta del terapeuta, non si presenta.

Perché accade?

Chi decide di intraprendere un percorso di psicoterapia, sperimenta un vero e proprio dissidio interiore. Dentro di sé ha due diverse parti in conflitto tra loro.

Da un lato, c’è il desiderio di attuare un cambiamento reale nella propria vita, solitamente motivato da un disagio, da una serie di sintomi che incidono sul benessere individuale e sulle relazioni. Solitamente si tratta di un disturbo egodistonico, che ha a che fare con comportamenti, idee, emozioni che vengono sentite non in armonia con il proprio io, incoerenti rispetto all’immagine che si ha di sé.

D’altro canto, in noi è presente anche l’istanza opposta, una parte che desidera difendersi dal cambiamento. La nostra mente, infatti, cerca di auto-tutelarsi e di tenere in piedi e proteggere quelle strutture su cui ha fondato il suo equilibrio, che ricomprende anche lo stesso disturbo. Ciò che viene percepito come estraneo e incoerente rispetto agli schemi mentali che ci siamo costruiti viene naturalmente respinto, tenuto lontano.

In parole semplice, il nostro io attiva una serie di difese atte a mantenere l’assetto conosciuto, a non destabilizzare il sistema. In questi casi può intervenire il meccanismo della rimozione, che determina delle dimenticanze, “cancellando” ricordi e vissuti dolorosi, emozioni e desideri contraddittori e conflittuali rispetto al nostro modo di osservare e interpretare noi stessi e la realtà che ci circonda. Oppure potrebbe intervenire il meccanismo della scissione con la quale i ricordi vengono mantenuti ma svuotati del proprio contenuto emotivo, potremmo dire silenziati e resi “innocui”.

Questo tipo di difese possono manifestarsi nel corso della terapia sotto forma di resistenze. Spesso le resistenze emergono all’inizio del percorso, quando si sta costruendo il legame di fiducia tra paziente e terapeuta. Ma queste difese psicologiche potrebbero scattare all’improvviso anche in fasi più avanzate della terapia, in special modo quando si cominciano ad approfondire temi delicati e si toccano nodi importanti del vissuto del paziente.

Quando si verificano queste condizioni, il terapeuta deve essere in grado di riconoscere il tipo di difese che si trova davanti e operare in modo da superarle ed evitare che il paziente si ritiri dalla relazione, sottraendosi alla terapia e ponendo fine al percorso. Il terapeuta deve porsi in modo da non attaccare in modo diretto le difese, deve considerarle con rispetto e avere la capacità di aggirarle in modo graduale poiché su questi meccanismi di difesa si fonda la struttura dell’Io.

Anche il transfert negativo può causare un drop out della psicoterapia. Quando avviene, infatti, il paziente proietta sul terapeuta esperienze ed emozioni negative connesse con altri individui significativi.

Durante la psicoterapia, infatti, il meccanismo del transfert agisce in modo tale che i vissuti vengano spostati sul terapeuta che, essendo una figura di riferimento, alla quale ci si rivolge in cerca di aiuto e sostegno, spesso viene assimilato a un genitore, a un padre o a una madre. Quando si verifica un transfert negativo, il terapeuta deve essere pronto a intervenire e a fornire al paziente una lettura corretta di quel che sta accadendo.

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