In questo video affronteremo insieme il disagio legato all’amore tossico.
Sveleremo i meccanismi profondi di questa trappola affettiva e scopriremo come uscirne.
A tal proposito rifletteremo sulle parole pronunciate da Gesù per aiutare l’umanità a liberarsi dalla dipendenza affettiva. Parole in grado di trasformare la sete d’amore in una sorgente di energia interiore.
Grazie a tutti coloro condividendo, iscrivendosi, mettendo un like, contribuiscono
Quando mettiamo la nostra felicità nelle mani di un’altra persona. Quando cerchiamo in qualcun altro il senso della nostra vita.
Allora finiamo inevitabilmente per perderci.
Su questa strada smarriamo il nostro centro.
Perché anche se a volte non lo vediamo, la verità è che il nostro equilibrio emotivo e il senso della nostra vita sono sempre stati e sempre saranno dentro di noi.
Possiamo solo illuderci di delegarli a qualcun altro.
Ma quando precipitiamo in questa trappola proiettiva e ci accorgiamo che l’altro non corrisponde alle nostre aspettative di salvezza, per noi è una tragedia.
È come morire.
Nei casi più patologici si arriva a formulare simili pensieri:
“Tradendo le mie aspettative, hai distrutto la mia vita, mi hai ucciso”
“E dato che tu mi hai annientato, io anniento me stesso”
oppure “Anniento te”
Come è facile intuire da questo tipo di processi mentali posso emergere reazioni estreme. Reazioni che possono diventare psicologicamente e fisicamente violente.
In particolare, giunti a questo punto possono diramarsi due strade, entrambe dolorose e distruttive.
Sopportazione e sacrificio: la donna cammello
La prima, che decliniamo al femminile poiché è quella più frequentemente percorsa da donne, potremmo definirla “la strada della donna cammello”
È questa la strada della sopportazione passiva e del sacrificio.
Tale assetto relazionale si manifesta in diversi gradi. Nei gradi più lievi appare come una semplice tendenza alla cura dell’altro e può ancora rientrare all’interno di un approccio relazionale sano. Ma nei gradi successivi prendono piede manifestazioni più acute e patologiche nelle quali la dipendenza, la paura dell’abbandono e il servilismo diventano sempre più profondi.
Si tollerano allora dinamiche di svalutazione e controllo pur di mantenere il legame con una figura idealizzata percepita come indispensabile per il proprio equilibrio emotivo.
E anche quando si avverte il pericolo, anche quando si intuisce di poter essere annientati si resta.
Come chi, pur sapendo di rischiare la morte, non fugge.
Nei casi più gravi è così che si giunge all’annullamento di sé, anticamera silenziosa di un suicidio che a volte è interiore, prima ancora che fisico.
Dominio e manipolazione dell’altro: l’uomo coccodrillo
La deriva opposta, percorsa prevalentemente da soggettiva maschili, potremmo definirla “la strada dell’uomo coccodrillo”.
In tale assetto, l’altro diventa una cosa da possedere e fagocitare.
L’uomo coccodrillo vuole controllare, manipolare e dominare l’oggetto della propria dipendenza.
Ogni segno di distanza diventa una minaccia intollerabile.
La paura dell’abbandono si trasforma in rabbia, la rabbia in violenza, fino all’omicidio, fino al femminicidio.
Le cause profonde della dipendenza affettiva. Il trauma infantile che blocca lo sviluppo emotivo
Le due derive descritte – quella della donna cammello e quella dell’uomo coccodrillo – sono due facce della stessa medaglia.
E trovano nella regressione psicosessuale una stessa origine.
In entrambi i casi dentro queste persone si nasconde una parte della personalità rimasta congelata nello sviluppo emotivo.
Il nodo centrale dell’amore tossico è questo: il fatto di sentire che il proprio equilibrio emotivo si trova nella mani di un altro risulta perfettamente logico, se pensiamo al vissuto del bambino nei confronti del genitore.
Quando siamo piccoli, infatti, è senz’altro vero che la nostra stabilità concreta ed emotiva dipende dal nostro caregiver.
La percezione del bambino di non poter vivere senza il genitore non è proiettiva, è reale.
Inoltre dal punto di vista del bambino è naturale sentire di avere il diritto alla presenza dell’altro.
Così come è naturale sentire che l’altro ha il dovere di esserci.
Ma quando queste percezioni che risultano coerenti nel rapporto bambino-genitore vengono proiettare all’interno della relazione adulta, si precipita nella trappola dell’amore tossico.
E allora la donna cammello proprio come una bambina di tre anni sentirà di non poter vivere senza l’altro e sarà disposta ad assumere atteggiamenti servili pur di non perderlo.
Mentre l’uomo coccodrillo – anche lui come un bambino di tre anni – sentirà di avere il diritto di essere amato dall’altro.
E quando percepirà che questo diritto gli viene negato, reagirà con rabbia e persino con violenza.
Il problema nasce quando durante il percorso evolutivo della persona qualcosa si inceppa.
Nel processo di maturazione psicologica, la responsabilità della cura – affidata ai genitori durante l’infanzia – deve esser progressivamente assunta in prima persona dall’individuo adulto.
Ma se questo processo viene interrotto da un trauma, da una mancata disponibilità emotiva da parte del genitore, accade che alcun parti del sé non riescano a maturare e restino bloccate ad uno stato infantile.
I traumi vissuti nell’infanzia spingono l’individuo a investire il partner di un’implicita richiesta di risarcimento emotivo.
Si tratta di un inconsapevole tentativo di colmare i vuoti lasciati dalle figure genitoriali.
Questa dinamica tuttavia conduce inevitabilmente verso una profonda frustrazione.
Nessun partner infatti per quanto amorevole può farsi carico della riparazione delle ferite dell’infanzia.
Assumere la cura di sé. Ecco come uscire dalle dinamiche dell’amore tossico e della dipendenza affettiva
Tale riparazione invece risulta possibile solamente attraverso un lavoro profondo fatto su sé stessi
La strada principe per uscir dalle dinamiche di dipendenza affettiva è quella di affrontare un percorso di psicoterapia spirituale attraverso il quale dissolvere i complessi infantili legati all’amore imperfetto dei nostri genitori.
Tale lavoro slatentizzando ricordi ed emozioni rimossi da tempo, punta a dissolvere la vera origine della dipendenza affettiva.
Questo processo consente non solo di elaborare il dolore e integrarlo nella propria storia, ma anche di completare un’evoluzione interiore rimasta sospesa.
Il passaggio dalla dipendenza affettiva alla centratura.
La terapia stessa infatti è un processo in cui l’individuo assume la cura di sé in prima persona. Si smette così di delegare la propria felicità agli altri e la si riprende nelle proprie mani.
Riscoprendo AUTONOMIA, AUTOSTIMA e una piena ADULTITA’.
In tal senso ci vengono in aiuto gli insegnamenti lasciatici da Gesù per far fronte all’amore tossico.
Gesù, alla Samaritana incontrata nei pressi del pozzo, donna che non a caso aveva avuto ben cinque mariti, offre il suo insegnamento per uscire dalla dipendenza affettiva.
Le dice: “ Finché berrai di quest’acqua avrai sempre sete. Mentre se berrai dell’acqua che ti darò io, non avrai mai più sete in eterno perché l’acqua che ti darò io formerà dentro di te una fontana da cui zampilla acqua viva”
L’intento del grande maestro non è tanto quello di convertirci a una religione, quanto di operare una conversione di 180° dall’esterno all’interno.
Come avrete capito, nella metafora che stiamo vedendo insieme, l’acqua che non disseta mai è l’amore romantico – qualcosa che ricorriamo all’esterno.
Mentre la fonte d’acqua viva dentro di noi rappresenta il contatto con il nostro vero Sé.
Rendendoci consapevoli del Sé profondo che vive al di là delle forme personali, avremo modo di connetterci non tanto con quella singola persona che abbiamo idealizziamo, ma con il mondo intero.
Perché ciò che davvero ci salva non è fonderci con un’onda speciale, ma con l’oceano, in tutta la sua grandezza.
Prenderci cura di questa preziosa fonte di vita che zampilla da dentro diventerà il nostro nuovo centro, il nostro più grande amore.
Vi ricordo che sono disponibile a svolgere consulenze online o dal vivo in questo studio di Roma Prati, prenotando tramite un messaggio whatsapp al numero 392 6560 624.
Grazie per l’ascolto, vi auguro una buona giornata.