Le emozioni fanno parte di noi.

Esistono emozioni primarie (gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto) che percepiamo fin da quando siamo molto piccoli e che sono presenti in ognuno di noi, a prescindere dalla cultura e dall’etnia di appartenenza. Sono innate e universali, perché non vengono apprese.

Tutti i mammiferi le possiedono e da esse vengono spinti a comportarsi in un certo modo, a reagire agli stimoli che vengono dall’esterno.

Gli essere umani, però, hanno anche emozioni secondarie, come la vergogna, che cominciano a svilupparsi intorno ai 2 anni, quando prendono forma l’autocoscienza e l’introspezione.

Le emozioni sono un fatto naturale. Eppure è molto difficile dare una definizione unica che possa spiegare in poche parole cosa rappresentino per noi queste sensazioni che sentiamo nascere dentro.

Per poterle comprendere davvero, occorre innanzitutto distinguerle dagli stati d’animo e dai sentimenti.

Emozioni, sentimenti e stati d’animo: quali differenze?

Spesso, emozioni, sentimenti e stati d’animo vengono usati come sinonimo, quasi come se fossero termini intercambiabili tra di loro, dotati di uno stesso significato.

In realtà, però, ci sono delle sottili differenze.

Le emozioni sono volatili, incostanti e di breve durata. Insorgono all’improvviso, in modo automatico, provocate da uno stimolo esterno (pensiamo a una situazione di pericolo che innesca la paura) o interno (quante volte ci rattristiamo per un pensiero?).

Esse determinano delle modificazioni a livello somatico cioè nel corpo, a livello psichico e anche sul sistema neurovegetativo.

All’opposto, i sentimenti sono qualcosa di più stabile e duraturo nel tempo. Al di sotto del sentimento, ci sono consapevolezza e pensiero. Essi, infatti, nascono dall’interpretazione che diamo degli eventi e delle sensazioni che proviamo.

Infine, gli stati d’animo sono dei tratti emotivi che tendono a stabilizzarsi nel tempo. Essi dipendono da due fattori: il nostro temperamento di base e le caratteristiche della nostra personalità. A differenza delle emozioni, non sono reazioni a stimoli precisi. Piuttosto rappresentano il modo in cui si trova una persona in un certo momento.

Emozioni: il corrispettivo dei pensieri nel corpo

Riprendendo una frase del grande maestro spirituale Eckhart Tolle, autore de “Il potere di Adesso”, potremmo dire che le emozioni sono il corrispettivo nel corpo dei pensieri.

Ciò significa che c’è un legame profondo tra quel che pensiamo e quello che proviamo.

Pensieri ed emozioni sono in stretta relazione. Gli uni sono in grado di influenzare gli altri e viceversa.

Sia in senso positivo che in senso negativo.

Quante volte ti è capitato di fissarti su un pensiero, di girarlo e rigirarlo nella tua mente e sentire che dentro di te montava un profondo senso di angoscia?

E quante volte ti è capitato di provare gioia ed entusiasmo per poi cominciare a fare mille progetti e castelli in aria?

Le emozioni hanno una precisa funzione: permetterci di reagire a quel che ci accade. Esse sono in grado di attivare una risposta fisica e cognitiva, predisponendoci ad agire in un certo modo.

Da questo discende un’osservazione fondamentale, che possiamo esprimere attraverso una riflessione del filosofo Martin Heidegger:

Ciascuno di noi è sempre preda di un’emozione.

In ogni momento della nostra giornata, qualunque cosa stiamo facendo, dentro di noi c’è un’emozione.

Potrebbe essere confusa, estremamente labile e appena percepibile, tanto da non permetterci di coglierla. Potrebbe anche trattarsi di un mix, una miscela nebulosa di emozioni. Anche perché spesso quello che sentiamo dentro di noi non è ben definito, ma ci sono delle sfumature.

Tuttavia, una cosa è certa: l’emozione c’è sempre.

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Emozioni e consapevolezza: il meccanismo della scissione e l’ansia

Così come non possiamo non pensare, tranne quando ci troviamo in un profondo stato meditativo, è impossibile non provare emozioni.

Talvolta, però, non ne siamo consapevoli.

In alcuni casi, infatti, non siamo in grado di renderci conto di quello che sentiamo.

L’emozione c’è, eppure è come se fosse invisibile e agisse sottotraccia.

È quel che avviene quando si innesca il meccanismo di difesa della rimozione.

Cos’è un meccanismo di difesa?

Secondo la teoria psicanalitica elaborata da Sigmund Freud, i meccanismi di difesa sono delle strategie che la nostra mente mette in atto per proteggerci da qualcosa che non siamo in grado di affrontare. Questi automatismi, che agiscono si attivano a livello inconscio, svolgono una funzione precisa: servono a impedirci di provare troppa angoscia di fronte a pensieri o sentimenti che risultano inaccettabili.

Il meccanismo della scissione funziona “tagliando” l’oggetto mentale in verticale, separandone le caratteristiche contraddittorie. Se ne mantiene l’aspetto cognitivo, mentre il corrispettivo emotivo viene allontanato e nascosto.

Quando si verifica una scissione massiccia, è come se l’emozione venisse silenziata. C’è, ma non riusciamo a percepirla.

Viene relegata nel nostro inconscio.

È un po’ come se chiudessimo a chiave in soffitta qualcosa che ci fa troppa paura.

Qualcosa di vivo che non può rimanere in silenzio nel buio.

L’emozione scissa non scompare. Essa rimane dentro di me e tende a ritornare, a riaffiorare in superficie. Quello che riemerge, però, è un’emozione “senza testa”, scissa dal suo contenuto, privata di una componente essenziale.

Essa scatena in me una serie di reazioni incontrollate, improvvise, che non riesco a spiegarmi.

Sento il respiro che si fa affannoso e un senso di oppressione al petto. Il mio cuore comincia a battere più veloce, come se stessi correndo, anche se sono fermo. Percepisco i miei muscoli che si irrigidiscono. Avverto crampi allo stomaco. Magari, mi viene la nausea.

Sono i classici sintomi dell’ansia.

Uno stato di iperattivazione che sembra non avere alcuna ragione logica. Non c’è niente che mi faccia paura in quel momento.

Eppure, mi sento agitato, scosso.

Ho l’impressione che il mio corpo sia completamente fuori controllo, come se fosse impazzito.

Non riuscendo a trovare una motivazione alla base di quel che provo, interpreto queste sensazioni sgradevoli come un segnale di allarme dato dal mio corpo. Mi convinco sempre di più che ci sia qualcosa che non va.

Di conseguenza, comincio a preoccuparmi, anzi ad avere paura.

Ma questa reazione emotiva non fa che accentuare le sensazioni corporee, accrescendo il senso di disagio. I sintomi peggiorano, si intensificano.

Non faccio altro che sentirmi sempre peggio.

Si è innescato un circolo vizioso che si auto-alimenta in una escalation continua. Se non riesco a porvi fine, c’è il serio rischio che l’ansia culmini in un attacco di panico.

 

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Le emozioni tra passato e presente

Secondo gli insegnamenti dei maestri del buddhismo, la principale fonte di sofferenza per l’essere umano sono le emozioni perturbatrici, capaci di incrinare la nostra serenità e condannarci a un’esistenza infelice.

Tra le emozioni perturbatrici c’è la rabbia.

Nel mio studio di psicoterapia ho incontrato spesso pazienti che avevano problemi di gestione della rabbia. Quest’emozione, se non viene compresa ed espressa nel modo giusto, può fare gravi danni, a noi stessi e all’altro.

Se proviamo a guardarla più da vicino, ci rendiamo conto che spesso la rabbia ha un doppiofondo nel quale si nasconde un’altra emozione. Quella reazione violenta ed esasperata, condita da urla e gesti impulsivi, è figlia della paura.

Mi spiego meglio.

Il nostro modo di entrare in relazione con il mondo circostante e con gli altri è condizionato dalle esperienze che viviamo durante l’infanzia. In particolare, sono le relazioni primarie con i nostri genitori a fornirci un modello, uno schema che tenderemo a utilizzare per interpretare la realtà e comportarci di conseguenza.

Se queste relazioni sono state all’insegna dell’abbandono o del maltrattamento, ne deriveremo un’immagine molto negativa dei rapporti interpersonali e tenderemo a vivere le nostre relazioni adulte come un contesto pericoloso.

Che significa?

Che quando qualcuno si avvicina a noi, non ci sentiamo protetti e al sicuro. Piuttosto, entriamo in allarme, avvertiamo una sensazione di pericolo. Si innesca la paura che, ben presto, si converte in rabbia, quell’emozione potente che la natura ci ha dato per difenderci dalle ingiustizie e dai torti.

Possiamo dire che, in casi come questo, rabbia e paura derivano da una distorsione percettiva.

I traumi vissuti nel nostro passato si sedimentano dentro di noi. Lasciano degli strascichi che prendono forme diverse: senso di vuoto, tristezza, paura… Tutte sensazioni che portano con sé pensieri angosciosi, molto cupi, capaci di alimentare emozioni altrettanto nere.

Ci troviamo di fronte a quello che Eckhart Tolle chiama “corpo di dolore”.

Qualcuno di cui possiamo liberarci soltanto in un modo: praticando la consapevolezza.

Nel momento in cui la dinamica inconscia che abbiamo appena descritto viene illuminata dalla luce della consapevolezza, il meccanismo perde forza e si inceppa.

La paura che proviamo non ha più motivo di esistere perché ci rendiamo conto che non ha a che fare con il momento che stiamo vivendo.

Viene dal passato, da qualcosa che proietta la sua ombra lunga sul nostro presente.

Quando mi rendo conto di quanto potere abbiano i miei pensieri, scopro che in tutto questo ci sono due aspetti: uno oscuro e l’altro luminoso.

Quello oscuro lo abbiamo appena visto insieme.

Se lascio che i miei pensieri comincino a vorticare sempre più rapidamente, travolgendomi insieme alle emozioni che riescono a suscitare in me, finisco in una spirale negativa che mi porta sempre più in basso, dentro un baratro da cui è difficile uscire senza un aiuto esterno.

Ma devo rendermi conto che è vero anche il contrario cioè che posso usare a mio beneficio la forza del pensiero.

Posso provare a creare uno stato di presenza attraverso la meditazione oppure la psicoterapia. Due pratiche che mi consentono di osservare i miei pensieri come fossi un soggetto esterno e di attuare una forma di igiene mentale che migliora il mio benessere.

Vivere le emozioni in modo sano e consapevole

Qual è il modo più sano per vivere le emozioni?
Per spiegarlo, prendo a prestito una metafora usata dal grande psicanalista Carl Gustav Jung.

Dobbiamo immaginare le nostre emozioni come un cavallo, uno stallone che non può essere ucciso né tantomeno può essere lasciato correre a briglia sciolta senza la guida di un cavaliere.

Ciò significa che non possiamo soffocare le emozioni, vivendo in uno stato di anestesia emotiva, come avviene quando entra in gioco la scissione.

Allo stesso tempo, non possiamo nemmeno lasciare che le nostre emozioni prendano il sopravvento.

Come abbiamo detto, le emozioni sono labili, volubili, momentanee. Non possiamo lasciarci guidare dalle loro continue fluttuazioni. Dobbiamo sempre ricordare, infatti, che le emozioni provengono dalla parte più antica e primitiva del nostro cervello.

Non sempre ci dicono la verità.

Agirle in modo diretto, senza averle fatte passare attraverso un filtro, può provocare seri danni.

Pensiamo, per esempio, alla rabbia che esplode all’improvviso, senza controllo, portandoci a reagire in modo anche violento a livello verbale e fisico, rischiando di compromettere i nostri rapporti.

Per vivere l’emozione in modo sano e autentico, dobbiamo saperla riconoscere e soprattutto dobbiamo poterla elaborare e filtrare.

Soltanto dopo aver compiuto questo processo, che passa attraverso la consapevolezza, saremo in grado di incanalare l’emozione, esprimerla nel modo giusto.

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