Tra gli indirizzi possibili, nel corso dei miei studi e della mia esperienza personale, ho deciso di approfondire la psicoterapia di stampo esistenzialista, più affine al mio sentire e alle mie inclinazioni personali. Si tratta di un filone di studi che si apre alle suggestioni più disparate, attingendo dalle diverse branche dello scibile umano, dalla filosofia all’arte, dalla musica alla letteratura.

È seguendo questa scia che vorrei presentare qui alcune riflessioni personali su un testo dei CCCP – Fedeli alla linea, gruppo musicale punk rock attivo tra l’inizio degli anni Ottanta e il 1990, guidato dal cantante e frontman della band, Giovanni Lindo Ferretti.

La psicologia dentro la musica

Come ho già evidenziato in un articolo dedicato al maestro Franco Battiato, capace con la sua opera di curaro lo Spirito dell’uomo, esistono autori che attraverso musica e parole dei propri testi riescono a far penetrare e sedimentare nella coscienza alcuni elementi dal profondo significato spirituale.

In alcuni casi, questo processo avviene in modo quasi subliminale: il messaggio supera facilmente le barriere poste dal pensiero cosciente, comunicando direttamente con l’inconscio, la nostra parte più nascosta.

Così avviene per le canzoni di Battiato, ma anche per quelle scritte e interpretata dai CCCP.

Pensiamo, per esempio, ad Annarella, canzone dai toni intimi, semplice quanto immediata, che potremmo definire come un “inno esistenzialista” con quell’invito a “non dire una parola che non sia d’amore”.

 

“Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così

Non dire una parola che non sia d’amore

Per me, per la mia vita che è tutto quello che ho

È tutto quello che io ho e non è ancora

Finita, finita

È tutto quello che io ho e non è ancora

Finita (è tutto quello che io ho e non è ancora)

Finita (è tutto quello che io ho e non è ancora)

Finita

Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così (finita)

Non dire una parola che non sia d’amore (lasciami qui, lasciami stare, lasciami così)

Per me, per la mia vita che è tutto quello che ho (non dire una parola che non sia d’amore)

È tutto quello che io ho e non è ancora (per me, per la mia vita che è tutto quello che ho)

Finita (è tutto quello che io ho e non è ancora)

Finita (è tutto quello che io ho e non è ancora)

Finita

Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così

Non dire una parola che non sia d’amore

 

In questo articolo, però, vorrei concentrarmi su un’altra canzone, forse meno nota e iconica, ma densa di significati simbolico. Si tratta di “Per me lo so”, tratta dall’album “Socialismo e barbarie” pubblicato nel 1987.

Il titolo dell’album rimanda a un contesto ben preciso.

“Socialismo o barbarie”, infatti, è una frase della filosofa e rivoluzionaria Rosa Luxemburg che nel libro Juniusbroschüre (1915) poneva queste due alternative di fronte alla società: il socialismo oppure la barbarie.

“Per me lo so”, lettura in chiave psicologica della canzone dei CCP

 

Conformismo e felicità

Partiamo dalle primissime strofe della canzone:

“Conforme a chi, conforme a cosa?

Conforme a quale strana posa?

Va peggio, va meglio? Non so dire, non lo so”

Al giorno d’oggi, la società ci spinge a seguire determinati canoni e modelli, suggerendoci che soltanto in questo modo potremo essere soddisfatti. Siamo indotti a conformarci, a essere come tutti gli altri, illudendoci che in questo modo riusciremo a essere finalmente felici.

La felicità è ciò a cui tutti aspiriamo.

Come diceva Leopardi, ogni uomo nel suo agire mira al piacere ossia alla felicità e cerca di rifuggire il suo contrario. La Natura stessa, nella sua immensa saggezza, ci ha dato questa bussola esistenziale per orientarci nella nostra vita ovvero la capacità di distinguere tra felicità e infelicità., tra piacere e sofferenza.

Non è affatto detto, però, che quello che rende felice me, possa rendere felice anche te (o chiunque altro).

In molti, purtroppo, sono terribilmente spaventati dal fatto che la vita non abbia un significato specifico e universale. Ma ciò vuol dire semplicemente che ognuno dovrebbe trovarvi il proprio senso, il proprio significato personale, realizzando sé stesso nella propria unicità di individuo.

Siamo tutti diversi e ciascuno di noi dovrebbe seguire la propria voce interiore, questa bussola emotiva che ci permette, piano piano, di avvicinarci a quello che siamo realmente, al nostro vero e più autentico Essere.

Prenderci cura di noi stessi vuol dire proprio questo.

Ma spesso perdiamo la direzione. Ci dimentichiamo di seguire le indicazioni ben chiare che vengono dal nostro Sé più profondo.

A quel punto, cominciamo a percepire il sentimento dell’Angoscia come qualcosa di sgradevole, con cui non vogliamo avere nulla a che fare.

Anziché accettare e accogliere l’inquietudine, interpretandola come la voce del nostro mondo interiore che ci chiama e ci riporta alle nostre esigenze più profonde, tentiamo di allontanarla dalla mente, di soffocarla con tutti gli strumenti a nostra disposizione.

Smettiamo di ascoltare, ci chiudiamo a noi stessi.

Così finiamo per conformarci, adattarci e appiattirci sulla massa. Prendiamo a prestito dagli altri qualche strana posa. Seguiamo la moda, i modelli preconfezionati, le direttive che ci vengono dal mondo circostante, dalla televisione, dai social, dai vertici del potere…

“Va peggio, va meglio? Non so dire, non lo so”

A quel punto non so più se sto bene o sto male. Se va meglio oppure sempre peggio.

Mi sono estraneato, allontanato troppo da ciò che sono realmente.

Sono scisso da me stesso.

Allontanarsi dai modelli precostituiti

Proseguiamo nell’ascolto, insinuandoci tra le pieghe del testo:

“La prima volta fa sempre male

La prima volta ti fa tremare

Sei tu, sei tu, sei tu, chi può darti di più?

Sei tu, sei tu, sei tu, chi può darti di più?

 

“La terza volta ti fa pensare

La quarta volta stai a guardare

Sei tu, sei tu, sei tu, chi può darti di più?

Sei tu, sei tu, sei tu, chi può darti di più?”

 

La prima volta che decidi di lasciarti alle spalle il sentiero già tracciato, di deragliare rispetto al rigido binario che hanno posto di fronte ai tuoi passi, ti trovi senza punti di riferimento, completamente perso.

È questo il male di cui parla questa strofa: il male che senti quando ti trovi da solo, faccia a faccia, per la prima volta, con la tua Angoscia.

Ma il sentimento dell’Angoscia, come spiegava il grande filosofo Martin Heidegger, ha un valore estremamente positivo.

Essa, come ho spiegato nel mio video “Odiare l’Angoscia”, ci è stata data dalla natura come un dono. È un varco privilegiato attraverso il quale possiamo comprendere quali siano le nostre reali esigenze.

Solo ascoltando l’inquietudine posso capire ciò di cui ho bisogno.

La prima volta, dunque, fa paura, fa tremare.

Ma “la terza volta” – cioè quando compi più spesso quest’operazione di confronto, – “ti fa pensare”.

Messo da parte il timore, cominci a riflettere su quel che sta accadendo. Ti avvii verso il cambiamento a livello mentale, cognitivo.

La vera svolta, però, avviene dopo, quando dal “pensare” passi allo “ stare a guardare”.

Per comprendere meglio ciò che intendo dire, occorre far riferimento agli insegnamenti dei grandi maestri della meditazione.

Meditare significa essenzialmente stare a guardare i propri pensieri e le proprie emozioni, fissare lo sguardo su quello che ci scorre dentro come fossimo degli osservatori esterni.

Non ci identifichiamo più con essi ma li lasciamo fluire.

“Stare a guardare” significa trascendere la Mente e l’Ego, raggiungere finalmente un superiore livello di Consapevolezza, che non è più soltanto cognitiva, ma è radicata dentro di noi, nel nostro Essere più profondo.

Questi concetti li ritroviamo nella riflessione del Buddha, così come in quella del filosofo e mitico di etnia indiana Jiddu Krishnamurti, che così si esprimeva a proposito della necessità di un cambiamento dentro di noi, a partire da come ci approcciamo al tema dell’angoscia:

“C’è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all’angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente”.

All’interno di questo filone di pensiero troviamo altri straordinari maestri spirituali che con le loro parole ci guidano sulla via verso l’illuminazione, come Paramahansa Yogananda ed Ekhart Tolle, autore de “Il potere di Adesso”.

Anche Pier Giorgio Caselli con il suo canale youtube Scuola non Scuola contribuisce a divulgare questo tipo di insegnamenti.

Sei tu, chi può darti di più? “Per me lo so” come inno esistenzialista

Arriviamo al cuore della canzone dei CCCP, il ritornello che batte e ribatte con quella stessa frase: “Sei tu, chi può darti di più?”

In questa semplice affermazione-domanda c’è il messaggio più profondo del brano, che si configura davvero come un inno esistenzialista, un invito a prendere in mano la propria vita.

“Sei tu, chi può darti di più?” come a dire non hai bisogno di nient’altro se non di te stesso. Mettiti in ascolto, cerca di sentire quello che ti viene da dentro perché la vera guida è proprio lì, te la dà la Natura, l’Essere, il Dio che è in te.

È un chiaro inviato a rivolgere lo sguardo dall’esterno verso l’interno.

 Medita, pratica l’introspezione, ricerca la via dentro di te.

“L’ultima volta non arriva mai, in questo presente che capire non sai”

Se la prima volta hai paura e la terza stai a guardare… l’ultima non arriva mai.

Perché?

Perché questo percorso non ha una fine, un termine ultimo. Non si smette mai di cercare. Né si smette mai di prendersi cura di sé stessi, soprattutto per chi ha ormai trovato il proprio centro e vive nel presente, che non può mai essere compreso fino in fondo.

Soltanto vissuto appieno.

Quando vivi nel momento presente, entri in comunicazione con l’universo intero e con Dio, inteso come qualcosa di superiore, al di là di ciò che è finito e perituro.

Quando trascendi l’Ego, entri nella dimensione dell’Eterno e dell’Assoluto, contatti qualcosa che non ha fine, raggiungi in un certo senso l’Immortalità.

La cura non finisce mai perché essa è l’essenza stessa, il significato più profondo della vita, così come ci insegna la Favola della Cura.

 

 

A presto,

Dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta Roma Prati

Per informazioni e appuntamenti, chiamami o inviami un messaggio su whatsapp al  3926560624

 

 

 

Immagine di copertina:
Immagine di jcomp su Freepik

Share on FacebookTweet about this on TwitterEmail this to someoneShare on LinkedInPin on Pinterest