Salve a tutti,

la perdita della capacità decisionale risulta un importante e diffuso motivo di sofferenza umana. Chi è preda di questa dinamica può sperimentare stati di impotenza, bassa autostima, confusione e frustrazione molto intensi.

Esiste un’immagine esoterica molto potente, l’immagine della carrozza o del cocchio, che può aiutare ognuno di noi ad uscire da questa pericolosa trappola mentale.

In questo video vi offro questa metafora e vi spiego come utilizzarla.

Grazie a tutti coloro che si stanno iscrivendo, entriamo subito nel vivo del tema.

L’incapacità di decidere: una trappola per la mente

In realtà, la figura della carrozza e la dottrina ad essa connessa dispiegano insegnamenti vastissimi, che si trovano alla base della cultura e della religione induista, insegnamenti davvero in grado di spalancare le porte della mente verso l’universo.

Ma in questa sessione ci limiteremo ad utilizzare tali elementi spirituali per far fronte in modo specifico agli stati mentali caratterizzati dalla perdita della capacità decisionale.

Sono tantissime le persone che mi contattano per far fronte a questo tipo di disagio: l’incapacità di scegliere e di prendere decisioni più o meno importanti. Si cade in una dimensione in cui la mente si arrovella, si sfinisce, si infiamma per cercare invano una soluzione. A volte sembra quasi che si sia finalmente afferrata ma poco dopo ecco che il dubbio torna a far capolino.

La mente ricomincia a valutare, a soppesare e tutto si ripete da capo, come in un film già visto, come in un disco rotto.

Tra dubbi e indecisioni: la soluzione “pericolosa” della delega

La frustrazione raggiunge il suo culmine e si comincia a dubitare delle proprie capacità. Si ricorre allora alla delega, si chiedono pareri ad amici e parenti.

Ma con questo atteggiamento, la persona rischia di perdere il proprio punto di vista, il proprio centro, esponendosi al pericolo di seguire decisioni prese da qualcun altro.

Un soggetto non riesce a scegliere che tipo di specializzazione seguire dopo la laurea e rimane bloccato di fronte a un bivio, mentre intanto il tempo scivola via velocemente.

Un altro non sa se intraprendere un matrimonio, una convivenza, la costruzione di una famiglia. Questa indecisione lo dilania interiormente e prova intensa angoscia.

Un terzo ancora rimugina tutti i giorni, da anni, sulla possibilità di mettere fine a una relazione amorosa e intanto vive una vita anestetizzata, senza mai lasciarsi andare, né in un senso né nell’altro.

Questi sono soltanto pochi esempi delle molte persone rimaste paralizzate all’interno di una dimensione in cui la mente è ingombra di pensieri e ragionamenti che alla fine cadono nel vuoto, senza portare a nulla.

L’immagine esoterica e salvifica della carrozza

A questo punto può venirci incontro l’immagine esoterica e salvifica della carrozza.

George Ivanovic Gurdjieff ha contribuito a far conoscere tale metafora nel mondo moderno occidentale, ma essa viene da molto più lontano, addirittura dalle insondabili profondità delle Upanishad, la matrice del pensiero religioso indiano.

Secondo tale dottrina, la scocca della carrozza rappresenta il corpo fisico dell’uomo, il mezzo concreto.

I cavalli sono le emozioni, la forza bruta, la nostra parte animale e primitiva.

Il cocchiere della carrozza rappresenta l’Io, la mente, il pensiero razionale.

Mentre il proprietario della carrozza può essere nominato a seconda della varie tradizioni come Consapevolezza, il Sé profondo, l’Essere o l’Anima.

Quando il padrone della carrozza si addormenta ovvero quando manca Consapevolezza

Ora, secondo Gurdjieff, nella maggior parte delle persone, il proprietario della carrozza (cioè la consapevolezza) è addormentato e non dà istruzioni al cocchiere. Ora, l’Io quando perde il contatto con la nostra consapevolezza profonda, si muove per automatismi.

Prova a trovare la strada attraverso pensieri e ragionamenti, ma nessun ragionamento lo aiuta a orientarsi verso la meta esistenziale.

Si vede come questa figura rappresenti perfettamente i casi di cui abbiamo parlato prima, relativi alla perdita della capacità decisionale.

In clinica, questo stato mentale corrisponde a dinamiche psichiche di tipo nevrotico. In una versione ancora più disperata e patologica, il cocchiere sfinito e frustrato si affida infine ai cavalli.

Allora accade che siano le emozioni, non più gestite dall’Io, a trascinare la carrozza.

I cavalli, lasciati a briglia sciolta, non più domati dal raziocinio del cocchiere, si imbizzarriscono, prendendo anche direzioni diversi, facendo ribaltare la carrozza e danneggiandola irreparabilmente.

Questo rappresenta l’assetto più patologico, in cui non dorme soltanto la consapevolezza, ma anche l’Io e la persona risulta preda di forze animali e conflittuali senza controllo.

Questo stadio rappresenta patologie più gravi come la sindrome borderline o addirittura la psicosi.

In tale assetto, il soggetto può diventare distruttivo in senso sia concreto che mentale e sia verso gli altri che verso sé stesso.

Questo quadro psichico ricorda l’indemoniato del territorio dei Geraseni, nel quale le forze animali, che vengono poi ricollocate da Gesù nei porci al pascolo, hanno preso il sopravvento sulle forze umane.

La persona consapevole e spiritualmente evoluta

Nella persona spiritualmente evoluta, invece, il proprietario della carrozza è sveglio, è presente.

La consapevolezza è vigile e comunica in modo chiaro al cocchiere la direzione da prendere.

In una situazione di questo tipo, il cocchiere (ovvero l’Io) rimane lucido e focalizzato sull’obiettivo, utilizza le sue abilità razionali per gestire i cavalli indirizzandoli verso la meta indicata dal padrone della carrozza.

I cavalli a loro volta, che rappresentano le nostre pulsioni e la nostra parte emotiva, potranno usare la propria forza, che però viene canalizzata, incanalata, sublimata dal cocchiere verso una meta superiore ed elevata.

Per trasporre tale antico discorso spirituale in un’ottica, fisio-neurologica, potremmo dire che nel sistema nervoso della persona sana, le parti più rostrali e quindi la neocorteccia controllano la parti più caudali e primitive, il cervello mammifero (o limbico) e il cervello rettile (o anche tronco-encefalico)

C’è una linea di confine che il pensiero non può valicare

Per tornare al problema della crisi decisionale, il nodo centrale riguarda il fatto che l’attuale grado di consapevolezza della nostra cultura ci porta a credere che le decisioni debbano essere prese pensando.

Non riusciamo a vedere che il pensiero risulta totalmente impotente in tal senso.

Vi riporto l’esempio utilizzato dal filosofo Bertrand Russell per spiegare questo stesso concetto: “ è possibile scegliere attraverso un ragionamento logico se votare a favore o contro l’aborto?”

Certo, il nostro io, la nostra parte razionale può portare sul piatto della bilancia diverse argomentazioni, può analizzare a fondo molte tematiche, ma non potrà mai giungere a una soluzione definitiva e certa come avviene per un problema di matematica.

Quando si tratta di scelte che riguardano la nostra realizzazione esistenziale, c’è una linea di confine che il pensiero non è in grado di valicare.

Le decisioni devono essere prese per mezzo dell’intuizione

In tale ambito infatti la decisione finale non appartiene più al mondo della logica, ma del cuore. E quindi non può essere presa dal pensiero che viene dalla mente, ma dall’intuizione che viene dal Sé profondo, dall’Anima, dalla consapevolezza di ciò che siamo veramente.

In fondo, il punto centrale di ogni scuola spirituale è sempre lo stesso: occorre che l’uomo si affidi alla consapevolezza piuttosto che al pensiero.

Nella persona sana, la consapevolezza dirige i pensieri. Mentre nella persona malata, sono i pensieri a prendere il controllo del nostro essere, che rimane così inespresso, non presente, addormentato proprio come nell’esempio della carrozza.

In ambito spirituale, si dice che il Pensiero è l’ancella, mentre la Consapevolezza è il padrone.

Il Pensiero è molto utile. Il suo intervento però risulta efficace solamente prima e dopo la scelta, mentre nel momento della scelta, il Pensiero deve farsi da parte e fare spazio all’Intuizione che scaturisce dal Sé profondo.

L’opera del pensiero è utile prima della scelta per raccogliere e analizzare tutta una serie di informazioni. È utile dopo perché può lavorare sull’organizzazione razionale che serve a portare a effetto il progetto indicato dal Sé.

Ma nel momento della scelta, è fondamentale che il Pensiero possa far silenzio.

Perché come insegna Yogananda, l’intuizione che illumina la nostra strada soge solamente nel silenzio della mente.

Ora forse riusciamo a comprendere più chiaramente il problema della perdita della capacità decisionale in cui cadono la maggior parte delle persone. Cercano di prendere una decisione pensando, ma più pensano e più si allontanano dal loro intento.

Nel silenzio della mente ascoltiamo la nostra essenza più profonda

In terapia consiglio alle persone che cadono in questo assetto di fare una passeggiata nella natura, in un posto ameno. Raccomando loro di non pensare a nulla, ma di concentrarsi sul qui e ora, focalizzando la loro attenzione sulle diverse percezioni che incontrano: il contatto dei piedi sul terreno, il vento sul viso, la temperatura dell’aria, i profumi, il canto degli uccelli, i suoi della natura.

In uno stato di questo tipo, nel silenzio della mente e nella tranquillità dell’anima, ognuno di noi è in grado di ascoltare la propria essenza più profonda e quando ciò avviene non occorre più scegliere perché ogni cosa appare chiara.

A quel punto, possiamo percepire senza sforzo il sentiero della nostra realizzazione spirituale.

Dobbiamo stare attenti quindi a non cadere nell’illusione di dover lottare, di sforzarci per raggiungere una risposta. Dovremmo invece rilassarci e ascoltare la voce del nostro Sé profondo, in cui sono già contenute tutte le risposte.

Non si tratta di cercare, ma semplicemente di ricordarci chi siamo veramente al di là del pensiero.

Dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta Roma Prati

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