Spieghiamo in che modo l’amore per ciò che siamo ci libera dall’oppressione dei vertici di potere, fondati sul controllo dei pochi sui molti.

Grazie a tutti coloro che iscrivendosi al canale sostengono questo progetto di psicoterapia spirituale. Entriamo subito nel vivo del discorso.

Sorvegliare e punire di Foucault: evoluzione del potere

“Sorvegliare e punire”, il capolavoro del grande filosofo francese Michel Foucault inizia con la descrizione del terribile supplizio inflitto il 28 marzo 1757 al regicida Damiens sulla Plaze de Greve di Parigi.

Al condannato nudo, immobilizzato con ceppi di ferro al centro di una piazza gremita da un’immensa folla, viene prima bruciata la mano che ha colpito il sovrano con dello zolfo fuso. Subito dopo, in una piaga praticata nel ventre, viene versato un miscuglio di piombo, zolfo e resina fusi. Le gambe e le braccia vengono fissate a cavalli spronati in direzioni opposte. In tal modo, dopo numerosi tentativi gli arti vengono strappati via dal corpo. Le cronache del tempo riportano che Damiens è ancora vivo quando infine viene gettato in un rogo.

Procedimenti penali come quello appena descritto sono comuni fino alla fine del Settecento. Questo periodo fa da spartiacque tra un primo assetto giuridico, basato su un esercizio del potere incostante, improvvisato e basato su punizioni esemplari e spettacolari e un secondo più dolce ma allo stesso tempo più esteso, sistematico e capillare.

L’amara e sconvolgente tesi di Foucault è che tale cambiamento penale non risponda tanto a un’esigenza di tipo umanitario, quanto piuttosto a un discorso utilitaristico, tecnologico ed economico.

In altre parole, il potere matura l’idea di poter ottenere un maggior vantaggio nello sfruttamento piuttosto che nella distruzione del corpo del deviante.

La società disciplinare è descritta da Foucault come dominata da invisibili, dolci, onnipresenti, sofisticati apparati di potere capaci di formare gruppi umani omologati, docili, gerarchizzati, studiati, misurati, catalogati, controllati e produttivi.

Attraverso l’affinamento delle scienze disciplinari sviluppatesi sull’impulso della rivoluzione industriale, si rende effettiva la possibilità di stabilire il controllo dei pochi sui molti.

Tale controllo tecnologico esercitato sui corpi e le menti del popolo si esplica non tanto attraverso la coercizione diretta e manifesta degli organi deputati all’esercizio del potere, quanto piuttosto attraverso istituzioni sociali e culturali non governative come famiglia, scuola, organizzazioni religiose, ospedali, istituti psichiatrici e organi di comunicazione di massa.

Gesù e l’insegnamento a non farsi possedere dalla sete di potere

A tal proposito risulta particolarmente significativo riflettere sui seguenti insegnamenti di Gesù:

“Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse, i loro capi e le opprimono. Tra voi però non è così, ma chi vuole diventar grande tra voi, sarà vostro servitore”.

Credo sia utile realizzare la portata rivoluzionaria di tali insegnamenti spirituali.

Gesù si esprime senza mezzi termini riguardo l’opera dei governanti. E risulta significativo notare che il grande maestro non si riferisce a un qualche governo specifico ma al concetto stesso di governo.

Ogni governo quindi secondo Gesù domina e opprime.

Così come Gesù nel deserto rifiuta la tentazione della porpora di Cesare offertagli dal diavolo, allo stesso modo istruisce i suoi discepoli e chiunque voglia seguirlo a non farsi possedere dall’egoica sete di potere.

La strada verso la pace e il benessere è diametralmente opposta a quella che conduce al dominio dei pochi sui molti.

Lobby capitalistiche, istituzioni governative e non governative, imperi mediatici, forze politiche e religiose incarnano ma non generano quei vertici di potere che da sempre controllano e dominano l’individuo.

Come il cancro in grado di devastare un organismo nasce da una minuscola cellula che perde la propria essenza, allo stesso modo l’oppressione delle grandi masse popolari si genera a partire dal singolo individuo che volta le spalle alla propria autenticità.

In tal senso ognuno di noi fa la differenza.

I vertici di potere incompetenti accrescono la loro forza ogni volta che un individuo rinnega la chiamata a essere pienamente un essere umano. La possibilità di annientare alle radici i vertici di potere egoici che da ogni parte opprimono la vita dell’uomo riecheggiano nella chiamata esistenziale che chiama l’individuo a riconoscere e custodire ciò che lo rende un individuo: la sua diversità e unicità.

Pasolini denuncia l’omologazione sociale

Come denunciato da Pasolini, la linfa vitale dei vertici di potere è l’omologazoine sociale. I vertici di potere ingrassano sulla mancanza di risolutezza dell’individuo nel sopportare la responsabilità di divenire pienamente sé stesso, consapevole di dover morire e pertanto libero, autentico e unico.

Attraverso la punizione normalizzatrice, i vertici di potere limano il popolo verso standard di normalità e salute mentale sui quali investire.

Ai padroni serve che la vogata sia simultanea e coordinata, serve che il popolo sia prevedibile, che faccia le stesse cose nello stesso momento. Sono tempi di dolce, dolce quanto impalpabile e onnipresente repressione mentale.

Ma l’angoscia salvifica chiama l’individuo a divenire ciò che essenzialmente è:

un’entità che ribolle, un’unicità che si rivolta e trascende.

Pasolini sottolinea ancora: “Ciò che non sono riuscite ottenere le violenze crude e dirette del fascismo, lo hanno ottenuto in brevissimo tempo le violenze sottili e invisibili dei signori delle televisioni. Il valore della diversità del singolo cede dinnanzi al dominio del potere omologante”.

Forte è la presenza del padrone nello schiavo. Forte è la presenza dello schiavo nel padrone.

Ambedue si affannano, si accecano, si affogano nell’oggetto.

Ambedue bruciano nell’inferno della mancanza di trascendenza. Ambedue lottano per distrarsi, per fuggire dalla chiamata del sé profondo.

 

La famiglia adultocentrica matrice della società disciplinare

Ad oggi la psicoterapia spirituale può completare questi studi dimostrando come la società disciplinare trovi la sua origine nella famiglia adultocentrica, la famiglia in cui prevale il primato del passato sul futuro e del senso di colpa sulla creatività.

Il primo genitore adultocentrico è Laio, che non accetta la profezia dell’oracolo, che non accetta lo scorrere del tempo e il succedersi delle generazioni, che non accetta che il vecchio faccia spazio al nuovo.

Che sceglie di uccidere il proprio figlio Edipo nel vano tentativo di evitare la propria morte.

Laio si oppone alla profezia dell’oracolo, si oppone all’insegnamento di Gesù secondo il quale:“ Se il granello di frumento cadendo in terra non morrà, rimarrà esso solo. Ma se morrà, porterà gran frutto”.

Dal bambino addestrato a ignorare la propria interiorità, sboccia l’attuale definizione di uomo sano, di campione di medietà, individuato dalla psichiatria nosografica.

Dal bambino represso ed efficientista, addestrato al servilismo,, vengono prodotti i corpi dell’esercito e delle forze dell’ordine.

Dal bambino disperato che ha perso il contatto con il proprio desiderio autentico, sorge l’edonismo consumistico cavalcato dai signori delle televisione.

Dal bambino svilito, svalutato e ferito emerge la grandiosità del politico assetato di potere-

Dal bambino maltrattato nasce il genitore maltrattante.

L’alto compito della psicoterapia è quello di spezzare il circolo autoalimentantesi di questo dilagante anti-umanesimo.

Genitori adultocentrici e governo disciplinare si muovono nello stesso modo.

Fanno passare lo sfruttamento per cura e necessità morale. Nessuno di loro è pienamente consapevole di quello che fa. Anche se fra loro qualcuno pensasse di agire in modo consapevole, non vede che la superficie dei propri movimenti.

Non comprende cioè come stia agendo uno schema rimosso e automatico, vissuto e interiorizzato per immersione.

Coloro che maltrattano i bambini così come coloro che maltrattano il popolo sono nati solo nella carne, ma non sono ancora nati nello spirito.

Essi non hanno accesso alla vita superiore.

I figli maltrattati e il nostro popolo pure si assomigliano. Che quanto più vengono sottomessi, sfruttati e violentati, tanto più diventano dipendenti e servili nei confronti di chi li domina.

In psicologia questa dinamica è conosciuta come dipendenza dal maltrattatore o sindrome di Stoccolma.

Il modo più originario in cui un genitore sfrutta il figlio è quello di assoggettarlo ai propri desideri attraverso la minaccia della mancanza di amore, di cui il bambino ha bisogno per non sentirsi preda della morte.

Vi è dunque un legame profondo tra incapacità genitoriale, paura della morte, senso di colpa e mancanza di desiderio.

Da bambini si ha fantasia, da adulti si è forti.

L’educazione adultocentrica e disciplinare inibisce il manifestarsi della potenza che scaturirebbe dall’integrazione tra questi due momenti. E allora la fantasia non si realizza per mancanza di forza e la forza non si esprime per mancanza di fantasia.

 

La psicoterapia come movimento di rivolta

Sono convinto che una vera psicoterapia sia un movimento di rivolta nei confronti dei vertici di potere incompetenti. Tale rivolta agisce semplicemente restituendo all’individuo l’amore per sé stesso.

Dall’alto il potere impone questa visione:

il malato mentale da individuare attraverso tabelle nosografiche e da riportare sulla retta via attraverso farmaci e addestramento comportamentista è colui che devia dalla medietà omologata, colui che scarta dal centro della campana di Gauss, colui che si discosta dal comportamento medio imposto dal potere per mezzo dei media.

La terapia per restituire all’individuo la propria autenticità deve opporsi dalla repressione della diversità esercitata dal potere.

La terapia dovrebbe aiutare le persone a comprendere che il nucleo di ogni identità personale riposa proprio in quelle devianze dalla media che il potere omologante si sforza di estirpare con ogni mezzo.

È evidente che un percorso di individuazione non possa conciliarsi in nessun modo con l’assoggettamento alle dinamiche avanzato dai vertici di potere. Infatti quando l’individuo conquista l’amore per sé stesso, indebolisce i vertici di potere.

Viceversa quando sono i vertici di potere a imporre la propria forza, ne risulta un deterioramento dell’amore che l’individuo prova per sé stesso.

Agli investimenti del potere danno fastidio l’imprevidibilità, la deviazione dagli itinerari prestabiliti, la complessità, la libertà, la consapevolezza, la creatività.

In una parola al potere dà fastidio l’individuo stesso realizzato nella sua pienezza.

I media sono il più forte strumento nella mani del potere proprio perché rappresentano un’arma omologante, sterminatrice di diversità.

Il potere prospera nei pascoli di pecore rassegnate alla cieca obbedienza, a un’esistenza piatta, omologata, prevedibile e senza significato. Fortunatamente, quando l’uomo mortifica troppo a lungo la propria natura, viene chiamato dall’angoscia a recuperare la propria autenticità.

Afferma Kierkegaard che i più disperati sono coloro che non sanno di esserlo. Chi precipita lontano dal cuore dell’uomo umano non ha più orecchie per udire la chiamata dell’angoscia, dispensatrice di autenticità.

Il più disperato e malato quindi è il soggetto sprofondato nella distrazione ottenuta per mezzo del godimento e del consumismo edonistico. È utile sottolineare che tal soggetto che ha tradito la propria essenza più profonda sembra, agli occhi dei media, un soggetto sano, forte e vincente, un esempio da seguire.

Non tutti però sprofondano necessariamente nella mancanza totale di consapevolezza.

Spesso in terapia sono chiamato ad aiutare persone che vivono crisi di identità. Essi si pongono con serietà e angoscia la domanda: “Chi sono, qual è il senso della mia vita?”

L’esperienza clinica dimostra come la maggior parte di queste persone sia stata educata a reprimere la propria autenticità per seguire la disciplina imposta loro da genitori e istituzioni. Desta meraviglia che in una società adultocentrica e disciplinare come la nostra, basata sul sistematico espianto delle diversità, vi siano ancora persone che si sentano chiamate a percorrere il cammino che conduce al senso dell’Esserci.

Questi rari e coraggiosi che spesso l’istituzione etichetta come devianti dalla media sono i custodi dell’autenticità del pensiero.

Se è vero che l’essenza dell’uomo risiede nella consapevolezza, allora questi individui indomiti e solitari che hanno la forza su interrogarsi sul senso della vita devono essere considerati i pastori dell’Essere. I soli in grado di indicare agli uomini, attraverso l’umiltà esempio, la strada per divenire pienamente umani.

Ecco il senso dell’insegnamento di Gesù: “Gli ultimi saranno i primi”.

Sulla base di questi pensieri, mi interrogo sull’adeguatezza della parola terapia per indicare la mia attività. Tale parola è corretta solo se pensata come Cura nella sua accezione più originaria, cioè come quella pratica che porta l’individuo a diventare ciò che veramente è.

Mai come correzione da una devianza, da riportarsi verso la norma.

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