Il concetto di “qui e ora” rappresenta un pilastro fondamentale della psicoterapia, qualunque sia l’approccio impiegato dal professionista cui ti rivolgi.

Ma cosa significa davvero qui e ora?

Il qui si riferisce alla dimensione spaziale, in senso concreto e anche metaforico: qui è lo studio del terapeuta, la stanza in cui ci si incontra e ci si mette in dialogo. Ma qui è anche lo spazio del rapporto tra paziente e terapeuta, il contesto della relazione terapeutica.

Ora, invece, indica una dimensione temporale ben precisa: è il momento presente, l’ora in cui si svolge la seduta.

Dunque, stare nel qui e ora vuol dire concentrare la propria attenzione sugli avvenimenti che accadono durante la sessione di psicoterapia, su emozioni, pensieri e sensazioni che emergono in tempo reale dall’incontro tra due individui, paziente e terapeuta.

Questo serve ad acquisire una maggiore consapevolezza su sé stessi e sul modo in cui si entra in rapporto con gli altri.

Ma come?

 

Qui e ora: il rapporto con il terapeuta come specchio delle nostre relazioni

Fin dalla nascita, intrecciamo legami con le persone che abbiamo intorno, costruendo una rete di rapporti in cui sono inseriti i nostri familiari, gli amici, i compagni di scuola, i vicini di casa, i colleghi di lavoro…

Per natura, noi esseri umani non possiamo fare a meno di stare in contatto con l’altro, di entrare in relazione, di fare gruppo.

Siamo animali sociali, diceva Aristotele.

Questo è vero anche e soprattutto dal punto di vista psicologico.

L’immagine che abbiamo di noi stessi e la rappresentazione degli altri, infatti, si modellano nell’infanzia, a partire dalle nostre relazioni primarie cioè quelle che instauriamo con coloro che si prendono cura di noi: i genitori o caregiver.

Sulla base della teoria dell’attaccamento e degli studi successivi, sappiamo che un individuo che ha ricevuto le giuste cure e attenzioni quando era bambino, sviluppando un attaccamento sicuro, percepirà sé stesso come una persona degna di amore e rispetto e sarà aperto e fiducioso nei confronti degli altri.

Colui che, invece, durante l’infanzia ha sperimentato maltrattamenti, incuria o abbandono, sviluppando quindi un attaccamento insicuro, avrà difficoltà a fidarsi, non si sentirà sostenuto e potrebbe inconsciamente legarsi a persone (partner o amici) che gli confermano l’immagine negativa che ha di sé e degli altri.

Il tipo di attaccamento che sviluppiamo modella il nostro modo di vedere noi stessi e la realtà che ci circonda, cosa che influenza le nostre relazioni nella vita adulta.

In poche parole, amiamo come siamo stati amati.

Questo, naturalmente, comporta grande sofferenza poiché si fatica a costruire relazioni stabili e durature, che arricchiscano la vita.

Ma cosa ha a che fare tutto questo con il qui e ora?

Come evidenzia Irvin Yalom nel suo splendido libro “Il dono della terapia”, lavorare nel qui e ora consente di focalizzarsi sulla relazione tra paziente e terapeuta, all’interno della quale, presto o tardi, verranno alla luce le difficoltà interpersonali sperimentate nel mondo “là fuori”.

La terapia, infatti, è un vero e proprio microcosmo sociale costituito da due individui che si incontrano, interagiscono tra di loro e instaurano un legame molto particolare, la relazione terapeutica.

Se generalmente il paziente si comporta in modo arrogante, se cerca di manipolare gli altri o se se ne sente sempre schiacciato, tutti questi aspetti emergeranno all’interno della relazione terapeutica.

Si tratta, di fatto, di schemi disfunzionali e inadeguati che il terapeuta può osservare in modo diretto, sperimentandoli in prima persona nel presente della relazione. Questo gli permette di evidenziarli al paziente, che può così prenderne consapevolezza e soffermarsi a riflettere, arrivando così a un benefico cambiamento.

Ciò è ancor più vero nell’ambito della terapia di gruppo, un setting all’interno del quale si rivivono e si mettono in scena più o meno consapevolmente dinamiche familiari e sociali.

Ma non solo.

Il qui e ora consente anche di lavorare nell’immediato e nel concreto.

Spieghiamo meglio.

Quando un paziente racconta l’esperienza di un’interazione dolorosa con l’altro – un litigio con il padre, un’incomprensione con il partner – il terapeuta lo aiuta ad analizzare l’accaduto, a mettere a fuoco quello che è stato il suo ruolo, indagando con lui le motivazioni inconsce che lo hanno condotto a un certo gesto.

Insieme, si scava nel passato, alla ricerca di altri episodi simili, allo scopo di delineare uno schema, fatto di motivi ricorrenti, che si ripetono nel tempo.

In questo modo, si può trovare il filo conduttore che attraversa il vissuto del paziente.

Tuttavia, c’è il forte rischio di mettere in atto un’operazione che sfocia nell’intellettualismo puro e nella completa astrazione.

La persona che arriva in terapia, però, non ha bisogno di questo. Nell’immediato, l’intervento terapeutico dovrebbe dare sollievo e aiutare l’individuo a ritrovare equilibrio e benessere mentale.

Per questo Yalom propone di cercare nel qui e ora della relazione terapeutica un equivalente dell’interazione dolorosa vissuta dal paziente cioè un’esperienza equiparabile, che abbia lo stesso peso e valore.

 

Terapeuta e paziente come padre e figlio: un uso del qui e ora in terapia

Per spiegare questo peculiare utilizzo del qui e ora, Yalom racconta di Keith, un suo paziente di lungo corso, praticante di psicoterapia, che nel corso della loro consueta seduta gli racconta di un violento alterco con il figlio, ormai adulto.

Il motivo del litigio?

Per la prima volta in tanti anni, il figlio ha deciso di occuparsi personalmente dell’organizzazione dell’annuale gita di famiglia, definendo l’itinerario e organizzando tutto da solo.

Pur apprezzando l’intraprendenza e l’autonomia dimostrate dal figlio, tuttavia Keith non riesce a lasciargli carta bianca. Si sente in difficoltà perché vorrebbe tenere tutto sotto controllo. Così, cerca di modificare i piani, suggerendo delle alternative. La sua insistenza manda su tutte le furie il figlio, che lo aggredisce verbalmente, definendolo “un padre invadente e dominatore”.

L’esplosione di rabbia del figlio sconvolge Keith che pensa di aver perduto per sempre il suo amore e il suo rispetto.

Quando Keith porta in terapia questo episodio, Yalom si domanda come intervenire.

Egli sa che, sul lungo termine, dovranno lavorare sull’incapacità di Keith di farsi da parte e cedere il controllo a qualcun altro.

Ma nell’immediato è molto più urgente un altro tipo di intervento, che possa alleviare la sofferenza del paziente e permettergli di guardare con occhi diversi all’accaduto.

Per questo, il terapeuta pensa di trovare un equivalente di quell’episodio nel qui e ora della loro relazione.

“Ho cercato di aiutare Keith ad acquisire una certa prospettiva, in modo da poter capire che questo contrattempo era solo un fuggevole episodio sullo sfondo di una vita intera di amorevoli interazioni con suo figlio” spiega Yalom.

Passando in rassegna i diversi momenti vissuti insieme, il terapeuta individua una situazione del “qui e ora” che presenta dei forti punti di contatto con quel “fuggevole episodio”. Poco tempo prima, infatti, ha affidato un paziente alle cure di Keith. Dopo alcune sedute, però, il paziente aveva deciso di non tornare più, interrompendo il percorso di psicoterapia con lui.

Questo fallimento aveva scatenato una forte ansia in Keith, che temeva di aver deluso profondamente il suo mentore e di averne perso la stima.

La similitudine è evidente: in entrambi i casi, Keith è convinto di aver compromesso per sempre un rapporto per lui molto significativo a causa di un singolo errore.

“Decisi di dedicarmi all’episodio del qui-e-ora, a ragione della sua maggiore immediatezza e accuratezza. Io ero il soggetto dell’apprensione di Keith e potevo avere accesso ai miei propri sentimenti, invece che limitarmi a elaborare congetture su come si sentiva suo figlio. Gli dissi che mi stava fraintendendo completamente, che non avevo dubbi sulla sua sensibilità e compassione ed ero certo che svolgesse un lavoro clinico eccellente. Non era pensabile che ignorassi tutta la mia lunga esperienza con lui sulle basi di questo singolo episodio, e dissi che in futuro gli avrei affidato altri pazienti”.

 

Qui e ora: intercettare indizi sugli Schemi di comportamento

Nel suo libro, Yalom sottolinea come il terapeuta dovrebbe avere delle “antenne per il qui e ora” cioè dovrebbe sviluppare (con l’esperienza maturata) la capacità di intercettare quei dettagli minimi, quegli avvenimenti apparentemente trascurabili che sono in realtà profondamente rivelatori.

Il modo di reagire, l’espressione del viso, una mezza frase… possono dare indicazioni molti utili per la terapia.

Per farci capire meglio cosa intende, Yalom porta un esempio semplicissimo. Quando un nuovo paziente si rivolge a lui per cominciare un percorso, il terapeuta gli fornisce alcune indicazioni per raggiungere il suo studio.

Sono sempre le stesse, ogni volta.

Eppure, ciascuno di loro risponde in modo diverso alle informazioni che gli vengono fornite. Quando arrivano alla sua porta, uno fa delle osservazioni sul giardino che circonda la proprietà; un altro esprime fastidio per il fango; un altro ancora, ergendosi a esperto, consiglia di costruire dei muretti per la pioggia; un altro, infine, si lamenta a causa del rumore fatto dal vicino.

Agli occhi del terapeuta esperto, questi sono indizi riguardo gli schemi di comportamento di ciascuno di loro, modelli a cui si rifanno costantemente nelle loro relazioni.

“Se più individui sono sottoposti a uno stimolo complesso, è probabile che diano risposte molto differenti” afferma Yalom, portando come ulteriore esempio la terapia di gruppo, ambito nel quale uno stesso evento, vissuto da molteplici partecipanti, dà luogo a una serie di interpretazioni e feedback molto differenti tra di loro.

 

 

Immagine di copertina: Immagine di freepik

Share on FacebookTweet about this on TwitterEmail this to someoneShare on LinkedInPin on Pinterest