Disforia e incongruenza di genere. Cosa sono e perché vengono confuse?

Spesso si sente parlare di disforia di genere e incongruenza di genere come fossero sinonimi, due termini da utilizzare alternativamente, con lo stesso significato.

In realtà, però, stiamo parlando di due condizioni che hanno dei punti di contatto, ma anche delle precise differenze da tenere in considerazione.

Cosa hanno in comune, dunque, disforia e incongruenza di genere?

In entrambi i casi, la persona vive una discrepanza tra il sesso biologico – maschile o femminile – che è quello assegnato alla nascita e l’identità di genere, ovvero il modo in cui si sente a livello profondo, come donna o uomo.

Naturalmente, una simile condizione può divenire fonte di profondo disagio poiché non solo non ci si riconosce nel proprio corpo, ma si fatica a essere riconosciuti dagli altri.

Chi soffre di disforia di genere o di incongruenza di genere, dunque, vive una distanza tra ciò che si è all’interno e ciò che appare all’esterno, una distanza che può influenzare molti aspetti della vita:

  • la relazione con sé stessi,

  • il modo in cui si vive il proprio corpo,

  • le relazioni affettive e sociali,

  • la sessualità.

Tuttavia, ciò che cambia e rappresenta la principale differenza tra queste due situazioni in apparenza tanto simili è l’intensità e la qualità del disagio vissuto, e in particolare il rapporto con il corpo.

Le differenze tra disforia e incongruenza di genere

Disforia di genere: il corpo rifiutato e negato e all’altro

La disforia di genere è caratterizzata da un’intensa sofferenza legata al proprio corpo, spesso vissuto come sbagliato, estraneo e per questo rifiutato.

Le caratteristiche sessuali secondarie – come il seno o i genitali – possono generare un profondo e intollerabile senso di repulsione, tale da compromettere la qualità di vita.

Ad esempio, una persona assegnata femmina alla nascita ma che si identifica come uomo può arrivare a comprimere il proprio seno quotidianamente con fasce elastiche molto strette (binder), nel tentativo di nasconderlo e cancellarne la presenza.

Questo comportamento, noto come binding, può essere fisicamente doloroso e avere delle conseguenze nel tempo.

L’uso prolungato del binder per la compressione del torace, infatti, può causare problemi respiratori, difficoltà posturali, dolori muscolari o danni ai tessuti.

Ma chi lo pratica lo vive come qualcosa di necessario, uno strumento atto ad attenuare il disagio psichico provato.

Allo stesso modo, c’è chi evita del tutto di guardarsi allo specchio, di spogliarsi davanti ad altri o persino di esplorare il proprio corpo, alimentando un senso di dissociazione o alienazione.

L’intimità e la sessualità rappresentano spesso un problema importante per chi soffre di disforia di genere.

Proprio a causa della ripugnanza di cui abbiamo appena parlato, infatti, gran parte del corpo viene negato non soltanto a sé stessi ma anche all’eventuale partner, a cui non viene concesso toccare o guardare.

Incongruenza di genere: un disagio privo di ripugnanza per il corpo

L’incongruenza di genere, sotto questi punti di vista, è diversa.

Anche qui vi è una distanza tra identità percepita e sesso biologico, ma manca (o è molto attenuata) la ripugnanza verso il proprio corpo e le sue caratteristiche.

La persona può convivere con alcune caratteristiche somatiche, pur sentendo che non rappresentano appieno la sua identità profonda.

Questo naturalmente non significa che non ci sia disagio – che può anzi essere forte e persistente.

Tuttavia, tale disagio si manifesta in modo più sfumato, talvolta compatibile con una vita sessuale attiva e relazioni soddisfacenti.

Ad esempio, una persona assegnata maschio alla nascita ma che si identifica come donna potrebbe scegliere di lasciarsi crescere i capelli o usare il make-up, magari indossare abiti femminili, pur continuando a convivere – almeno in modo temporaneo – con le caratteristiche anatomiche maschili, senza provare verso di esse una repulsione profonda come avverrebbe se soffrisse di disforia di genere.

Questa persona potrebbe comunque desiderare un percorso di affermazione di genere, più o meno completo.

Approfondiamo meglio questo aspetto.

Ogni percorso di affermazione di genere è una scelta intima e personale. La psicoterapia come spazio di ascolto e autoconsapevolezza

Ciascuno di noi ha un proprio vissuto, una propria sensibilità e un modo di sentire il corpo e l’identità e questo ci porta a desiderare cose diverse, in momenti diversi della vita.

Quando si vive una disforia di genere o un’incongruenza di genere, le alternative possibili sono tante.

Per alcune persone, è sufficiente un cambiamento nella sfera sociale: farsi chiamare con un nome che sentono proprio, usare i pronomi che corrispondono alla loro identità, modificare l’abbigliamento o l’aspetto esteriore.

Altre persone, invece, sentono il bisogno di intervenire sul corpo attraverso la terapia ormonale, che consente di acquisire caratteristiche fisiche più in linea con il proprio genere sentito: una voce più profonda, una diversa distribuzione dei peli, dei muscoli o del grasso corporeo.

In altri casi può emergere il bisogno di cambiare radicalmente il proprio aspetto esteriore, sottoponendosi alle operazioni chirurgiche di riassegnazione.

Ogni strada è legittima, ma nessuna è obbligatoria.

Ogni percorso di affermazione di genere, infatti, è una scelta profondamente intima e personale, che può declinarsi in forme molto diverse tra loro, evolvendosi nel tempo.

La cosa più importante è che ciascuna decisione sia frutto di un processo consapevole, libero da pressioni esterne, guidato da ciò che davvero si sente dentro.

In questo senso, è molto utile intraprendere un percorso di psicoterapia.

La psicoterapia rappresenta uno spazio protetto, accogliente e non giudicante, in cui è possibile fermarsi, ascoltarsi e interrogarsi con autenticità.

Non si tratta di trovare subito una risposta definitiva o “giusta”, ma di concedersi il tempo e la libertà di esplorare, accogliendo anche la confusione, il dubbio, l’ambivalenza che spesso accompagnano questi vissuti.

Il dialogo con il terapeuta consente di esplorare le proprie emozioni, comprendere meglio i propri bisogni, distinguere i desideri autentici da quelli condizionati dalle aspettative familiari, culturali o sociali.

Si tratta di un lavoro profondo di chiarificazione interiore, che permette di fare ordine tra vissuti spesso complessi e contrastanti.
In questo processo, nessuna tappa è obbligatoria: ogni persona può scegliere se e come proseguire, cosa modificare della propria vita, del proprio corpo, della propria immagine nel mondo.

Alcuni trovano serenità già attraverso piccoli cambiamenti nel modo di esprimersi o di relazionarsi agli altri, venendo riconosciuti nella società, senza bisogno di alterare il proprio aspetto in modo drastico. Altri possono avvertire l’esigenza di trasformazioni più visibili, ricorrendo quindi a cure ormonali e interventi di chirurgia.

La psicoterapia non dà risposte preconfezionate, ma aiuta a sostenere la complessità di questo cammino verso sé stessi, accompagnando la persona nel diventare sempre più consapevole, libera e fedele alla propria verità interiore.

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